Che sia stato il covid, forse preso in questi drammatici mesi, col terrore di morirne o di vedere ammalarsi le sue bambine, che il motivo sia quello cervellotico letto su un quotidiano nazionale, ossia che l’epidemia a Bergamo avrebbe fatto tornare alla memoria del fantasista nerazzurro la guerra nella ex Jugoslavia e l’assassinio del padre, avvenuto quando il nostro campione aveva appena un anno, che dipenda, invece, dall’angoscia che tutti noi sentiamo ancora dentro, anche ora che sembrano passati il lock down, le bare in fila e le sirene intorno, che sia dovuto a una crisi matrimoniale come se ne vivono, qualcosa che spesso immobilizza, bloccando la testa, ma pure le braccia e le gambe, resta che quanto sta accadendo a Josip Ilicic non ha precedenti nel calcio italiano. Una vicenda del genere non si ricorda. Non è mai successa, o, se è accaduta, è stata ben nascosta agli occhi di noi appassionati.

Racconto in poche righe le tappe fino a qui. Prima della pandemia il trequartista sloveno si trova all’apice della sua carriera. A trentadue anni regala magie su magie, assist fenomenali e un mucchio di gol, ognuno di rara bellezza, sia in campionato, 15 centri in 22 presenze, che in Champions League, cinque reti in sette partite, con una storica quaterna il 10 marzo allo stadio Mestalla di Valencia, una gara indimenticabile per qualsiasi tifoso atalantino.

Esplode l’emergenza coronavirus, a Bergamo si contano i morti, in Italia si ferma tutto. Anche il pallone. Che riparte a fine giugno dopo due mesi di stop senza il suo eroe, appunto Ilicic. Che in campo ci va anche, ma non è più lui. Pur vedendolo fuori fase, il mister nerazzurro Gasperini, che lo ama, lo mette dall’inizio persino nel match della vita, quello con la Juventus, che potrebbe addirittura riaprire il discorso scudetto. E’ l’11 luglio. Ilicic gioca un’oretta, male, senza incidere, e viene sostituito. E da lì in poi sparisce dai radar. Finché riappare in Slovenia, scappato per riprendersi da un momento di forte depressione. La società, che gli versa oltre un milione di euro all’anno per vederlo in campo, non fa una piega. Non gli chiede indietro i soldi né fa la voce grossa. Dimostrando un’immensa sensibilità fa il contrario: lo coccola a distanza, nonostante sia il suo top player, il solo in grado di vincere una partita da solo, l’uomo che serve come il pane soprattutto ora, alla vigilia delle storiche fasi finali della Champions League che l’Atalanta affronterà a Lisbona dal 12 agosto, ai quarti contro il terribile Paris Saint Germain.

Ogni giorno, a ogni intervista, Ilicic riceve gli attestati di stima del suo tecnico, appunto Gasperini, quelli dei compagni, anche ieri dopo il ko con l’Inter, e quelli di tutti i tifosi bergamaschi. Ma lui, molto probabilmente, in Portogallo non ci sarà. Resterà in patria a curarsi dal male oscuro che lo ha colpito.

Personalmente la storia colpisce per due motivi. Innanzitutto perché ci hanno abituato a rappresentarci i calciatori professionisti come degli extraterrestri che non vivono le nostre emozioni, ma, appunto, quelle di un altro pianeta, l’Olimpo, dove ogni cosa è illuminata. Fino a quando giocano, splendono di luce propria. Non hanno mai problemi psicologi, che a qualcuno arrivano, ma sempre solo dopo avere appeso le scarpette al chiodo. Sapere che uno dei più forti di loro, certamente il migliore della Dea terza in classifica, sia crollato, cambia totalmente la visione dell’intera Serie A. Da adesso in poi i giocatori del nostro massimo campionato diventano ai nostri occhi dei ragazzi normali, che, come noi, possono incappare in momenti difficilissimi da superare. E questo nonostante abbiano milioni di euro sul proprio conto corrente e il costante affetto di centinaia di migliaia di persone. Sarà banale, ma vien da dire che i soldi non danno la felicità, come invece abbiamo sempre creduto vedendo il sorriso di tanti campioni sulle proprie fuoriserie o mano nella mano a bellissime e dolcissime compagne.

La seconda cosa che fa riflettere è quanto il modello Atalanta abbia regole e comportamenti opposti a quelli delle altre big italiane ed europee, che, per stop molto meno lunghi, ovviamente non legati a infortuni fisici, scelgono spesso la via della causa di lavoro, visti i tanti euro che ci sono in ballo. In questo momento non sono solo gli straordinari risultati a rendere grande la Dea nerazzurra, ma almeno altri due fattori, osservati proprio nella gestione del caso Ilicic, quello di far sentire i propri campioni parte di una famiglia unitissima, aspettandoli, coccolandoli ed evitando di metterli sotto pressione nei momenti più bui, e, quello, ancora più importante, di attribuire a un guaio psicologico lo stesso valore di un problema alle gambe, di considerare la depressione tale e quale alla rottura di un legamento crociato.

Detto che tutto questo fa onore alla famiglia Percassi, la speranza è che Josip Ilicic riesca a vincere i fantasmi che sente adesso nel cuore, ombre che lo hanno reso ancora più amato dai tifosi, altre persone uniche, che non lo criticano come accadrebbe in altre piazze, ma che cercano in ogni modo di dimostrargli l’immenso affetto che sentono per lui, forse perché, mai come ora, il campione sloveno è visto uguale a ognuno di noi, che sentiamo sia l’allegria che la felicità, sia la tristezza che la malinconia.

Matteo Bonfanti

Nella foto Ilicic e la moglie, immagine postata dal giocatore sloveno proprio ieri sul suo Instagram