Che poi alla fine siamo in questi tempi politicamente corretti, estremamente, ed è giusto così. E c’è anche che siamo nelle ore a ridosso del mattino in cui, saggiamente, si celebra la lotta in ogni quartiere agli uomini che odiano le donne. Ma non stiamo un po’ perdendo la misura della nostra indignazione?
Così parto da due cose per il mio ragionamento di questa notte di un lunedì di fine novembre passato a portare il libro di Elisa alla Distribook di Milano. Innanzitutto cito Cesare, non il romano, ma quello di Bologna, il mio parente famoso famoso, che in una canzone dice “che gli uomini e le donne sono uguali”. Poi spiega Zeno, il mio secondo figlio, tra l’altro figo figo, mentre parla a tavola con sua mamma: “Giusto che tu hai menato qualche volta il babbo, che è bello grosso. Ma se lui osasse metterti una mano addosso, meriterebbe il carcere”.
Sia Ce che Ze, come li chiamo io, che passo la vita ad accorciare i nomi, hanno ragione. Poi però penso che il tipo che ha fatto la mano morta alla collega Greta Beccaglia non sia il terribile mostro che stiamo dipingendo. Ha sbagliato, ma ho letto commenti che lo descrivevano come il peggiore dei delinquenti, uno da rovinare sempre e per sempre, punito con tre anni di Daspo, ora indagato dalla Procura di Firenze per violenza sessuale.
Mi spiego. Sono masculo, ma neppure così tanto, ho la mia percentuale femminile, faccio da sempre il giornalista e ho un discreto culo perché gioco a pallone. Così, da quando sono ragazzo, è capitato che mi facessero una carezza al sedere preti, catechiste, educatori, genitori, parenti vari, giornaliste, giornalisti, grafiche, grafici, collaboratrici, collaboratori, presidenti del calcio, giocatori, medici, massaggiatori, musicisti gay, musicisti trans, musicisti etero, cani esagerati nel farmi le feste, gatti, ma senza un vero motivo, credo per sbaglio. E non è che mi sia stracciato le vesti o abbia denunciato la vicenda alle autorità sentendomi vittima di una molestia. Se proprio una risata, ma anche chissene, che non avevo tempo perché avevo da scrivere. Se sono andato dallo psicologo, Ze Ze, è perché mi veniva da incazzarmi oltre modo per l’Italia dei ladroni, i tanti che mi fottono mentre davanti mi sorridono. Non per chi mi sfiorava le chiappe dopo una partita a mò di sfotto.
Sulla vicenda della collega Greta Beccaglia ne ho lette di ogni, mancava giusto quello che minacciava di appendersi al muro per solidarietà alla cronista toccata sulla natica destra dalla mano del tifoso della Fiorentina. Piuttosto gli stessi famosi commentatori si mettano da domani in prima linea: mai più una riga dedicata agli uomini che odiano le donne oppure uno sciopero generale della stampa ogni volta che una donna viene ammazzata a cartoni dall’aguzzino di turno. Succede tutti i giorni, fa schifo, e il problema è questo, grave, gravissimo. Non è la solita minchiata all’italiana del concentrarsi sulla pagliuzza dimenticandosi la trave di due generazioni che continuano a pensare che a noi masculi è tutto concesso, persino far del male all’altra parte del cielo.
Matteo Bonfanti
Nella foto la giornalista Greta Beccaglia