Intanto mia mamma, la Vale, poi mia sorella, Chiari, la fortuna di aver vissuto con due donne bellissime, libere, leggere, allegre, profonde e forti, nei dieci anni più importanti della mia vita, tutti quelli che mi servivano allora per diventare un uomo che non avesse paura di andare nel mondo. Di loro l’immensa dolcezza, la loro ancestrale femminilità, quel viaggio in direzione ostinata e contraria che inizia e finisce ogni volta nei baci e negli abbracci, in quella cosa bellissima che è la comprensione delle mani. Ripenso a noi tre nel lettone, abbracciati stretti stretti a ridere e a scherzare, e sono felice del regalo che mi hanno consegnato, la mia parte femminile, di cui vado fiero e che non mi basta mai perché è sempre troppo poco e ne vorrei un pezzetto in più, almeno per sognare di essere migliore.
Ma non solo loro. Vengo da una famiglia di donne importanti, di femmine dalla tempra dura, madri del miglior femminismo possibile senza manco saperlo. Parlo di mia nonna Pina, soprattutto, che a Bologna ha sempre deciso tutto lei, persino dove andare d’estate al mare, al Kursaal di Riccione, l’albergo più bello dell’Adriatico “perché quest’anno vi dobbiamo coccolare”. E in più, anche ora a 94 anni, fa da magnare da impazzire “perché, ricordatelo, siamo quello che mangiamo e a tavola bisogna stare da dio, o, quantomeno, provarci”. A Lecco, invece, c’era la bottega di mia nonna Chiara, una signora stupenda, alta e piena zeppa di curve, felice di essere corteggiata da mezza città, contenta di essere ambita perché affascinante, la sola donna dell’epoca che non soffriva della paura di piacere a qualsiasi maschio adulto. Anzi ne faceva giustamente un vanto.
Poi le mie zie, la Cri e la Tella, gemelle rosse e ricce, innamorate di ogni arcobaleno vissuto, ogni volta pronte a partire verso un cielo azzurro e senza nuvole, a farmene vivere i contorni. Poi, ancora, le mie bisnonne, la Dina e la Maria, in campagna a sudare fino ad avere i solchi sul viso perché “siamo noi donne che dobbiamo essere sicure che a casa ci sia il pane”.
Così oggi sono passato al presidio in centro per l’Otto Marzo. Avevo il tempo contato, ho fatto mille corse e ce l’ho fatta. Non sapevo bene il motivo, ma sentivo che per me era qualcosa d’importante, che dovevo esserci, che dovevo testimoniare l’importanza della parità. Scrivendo mi sono accorto del perché, avevo bisogno di ritornare a casa, tra chi mi ha cresciuto, tutte le bellissime donne della mia famiglia.
Matteo Bonfanti
Nella foto: io in spalla a mia nonna Pina, accanto a mia sorella Chiara, due tra le tante donne straordinarie della mia famiglia