Inerme, seduto sul sofá.
Appollaiato dinanzi ad una televisione in 4K, in grado – peró – solo di rendere sfuocata la passione.
Il colore verde – troppo saturo dell’erba – mi fa socchiudere gli occhi, come fossi rinchiuso da tempo immemore in una sala giochi degli anni ’80.
Le voci nitide e in dolby sorround degli interpreti in campo, riescono solo ad ovattare i sentimenti.
Le analisi “illuminate” dei cronisti, hanno solo l’effetto di tentare di falsare il giudizio, innervosendo e ribaltando pure lo stomaco.
Io, uomo da stadio, abituato solo ad ascoltare cori, urla, battiti di mani, imprecazioni mai banali, e – spesso – senza nemmeno essere in grado di cogliere il fischio dell’arbitro a causa del fragrore degli astanti.
Io, tifoso che ha sempre vissuto l’arena, abituato al sudore freddo, al respiro che tende a ghiacciarsi, alla coda per pisciare a fine primo tempo tra lamentele e puzzo di sigarette, agli abbracci violenti dopo un gol, alla gioia che quasi ti fa perdere i sensi.
Io, animale da branco, che vorrebbe solo sentire il battito del proprio cuore che si sincronizza a quello di chi ti sta accanto, e che spesso nemmeno conosci.
Ed invece sono qui, inerme ed impotente, ad ascoltare – passivamente – tutto.
Tutto, fuorché le emozioni.

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