Bene, io penso che sia una cosa passeggera, giusto perché la mia gente, che è quella di Bergamo e di Lecco, ha un cuore grande grande e mai come ora un fortissimo bisogno di farsi ogni tanto una risata dopo tanti mesi di dolore. Va così che è successo che i miei concittadini si sono parecchio appassionati al mio racconto, quello del giornalista che sono, un po’ ridicolo e un sacco maldestro che in piena quarantena va a comperare le sigarette con addosso solo la vestaglietta celeste di sua mamma, celeste e brutta brutta, di acrilico infiammabile cinese. E incontra due agenti, prendendo una strizza bestiale. Poi, qualche giorno dopo, più o meno lo stesso, tutta la mia città e pure quella vicina a leggere della mia vicina che mi spacca i maroni perché non tengo alla salute dei fiori gialli del campetto comunale, un minuscolo prato che sta alla fine del cortile dove abitiamo io, la mia famiglia e lei, appunto la vecchina incazzosissima.
L’altro giorno, che ero al lago, ho abbastanza ragionato sul motivo di questo inaspettato successo, trovandolo nella compassione umana che provano i bergamaschi e i lecchesi nei confronti di chi è evidentemente in un forte stato di difficoltà psicologica. Sta di fatto che mi è accaduto l’imprevedibile, dopo 24 anni esatti di carriera, i miei articoli, normalmente letti da sette persone (mia mamma, suo marito Ernesto, mio babbo, mia nonna Pina, Barbara, che è stata la mia fidanzatina alle medie, Marco, che è il mio collega e che un po’ lo costringo, e Michele, che è un mio carissimo amico di Lecco, un uomo buonissimo), di colpo e senza aspettarmelo hanno iniziato ad avere migliaia e migliaia di visualizzazioni quotidiane. E non solo quando deliro in libertà sui miei guai o sulle mie miserie, ma pure le volte che la tento come politologo e mi metto a questionare sul lavoro di Fontana, su quello di Conte o sul riscatto di Silvia Romano.
Questa cosa è bella bella perché le persone mi vogliono tanto bene, ci tengono alle mie parole, mi scrivono e mi fanno i complimenti. La gran parte di loro mi vede come un cucciolotto inoffensivo, da proteggere, da sfamare e da coccolare, un orsetto rosso e peloso a cui offrire un caffè, nove questa mattina, tre nel pomeriggio (e negli ultimi minuti mi è venuto un impressionante tic alle gambe, che spero mi passi entro stasera). Insomma sento moltissimo amore, che mi aiuta e che mi sorregge.
Ma questa inaspettata popolarità legata alla mia facciona sul profilo in Facebook o a quella sul mio blog, più piccolina, che prima del corona ero abbastanza magretto, ha il suo drammatico rovescio della medaglia. Rischio, infatti, di sembrare un tipo un po’ stronzo, assai maleducato, che magari se la tira perché scrive (tra l’altro, come già detto, sostanzialmente minchiate).
Ora io ho due grossi problemi strutturali, uno fisico, l’altro mentale. Una donna, che non cito per i violenti motivi che scoprirete dopo, fortissima e un sacco femminista, più o meno un anno fa, si è giustamente incazzata con me. E mi ha dato una bella lezione, una serie di cartoni prima all’orecchio destro, quindi al sinistro. Non mi ha reso totalmente sordo, ma da allora sento pochissimo, che, ormai, guardo i film solo coi sottotitoli. L’altro mio dramma è che sono un po’ per aria. Per strada, in macchina o a piedi, mi infilo nel mio tunnel, estraniandomi dal mondo, arredandolo coi miei pensieri spesso malsani, quasi sempre con la testa bassa. A riprova che recentemente, a San Siro, in occasione di Atalanta-Valencia, ho centrato in pieno un palo, facendomi un male cane a un braccio.
Il racconto dei miei limiti perché sia ieri che oggi, prima una ragazza carina, poi un uomo bellissimo, con la barba nera nera, ci hanno messo un sacco per attirare la mia attenzione, sorridermi e dirmi “ciao, Matteo”. Un altro, una persona gentilissima, conosciuta qui su Facebook, mi ha scritto che mi ha visto e che mi ha suonato, ma che io ho fatto finta di niente. Mi chiedeva se c’era qualcosa che non andava, se ero arrabbiato.
Chiedo scusa, che dovrei anche ripigliarmi quell’attimino dopo quattro decenni di vita passati con la testa sulle nuvole. Ma vi chiedo anche un piccolo favore: se mi vedete in giro, non chiamatemi né fatemi un cenno, datemi una leggera botta in testa. Mi raccomando, non sulle orecchie, potrebbe essere il definitivo colpo di grazia al mio udito già fragile fragile.

Matteo Bonfanti