E mi sono trovato a raccontare la mia vita, non tutta ovviamente, ma gran parte, insomma gli episodi salienti, con chi da ragazzo mi faceva ballare, uno dei miei cinque idoli assoluti dell’epoca. Era l’inizio del millennio e a ogni due per tre al Lazzaretto c’erano Carlo Biglioli e la sua Famiglia Rossi, appuntamento irrinunciabile, l’indie che non ti faceva venire voglia di tagliarti le vene, ma di saltare allegramente cantando “mi sono fatto da solo”. Questa mattina, vent’anni dopo, “Skizzo” è venuto da me in redazione. E non è stata un’intervista, ma il dialogo tra due persone che ne hanno viste tante, restando sempre gli stessi, continuando a sognare un mondo senza confini né razzismi quotidiani, dove la guerra non è mai una soluzione, ma ogni volta la peggiore delle aberrazioni umane, un pianeta in cui si deve ridere e scherzare, ma di se stessi, mai offendendo il vicino, da rispettare, quando è reale, ma pure nella sua parte virtuale. Per via delle mie parole intorno spesso ho conosciuto di persona chi stava sul mio palco, in alcuni casi rimanendone deluso. Oggi invece no, sono fiero del mio tempo con Carlo, ascoltato mille e passa volte sulla radio in macchina oppure grazie allo stereo di casa, immaginandomelo così, un uomo in gamba, moderno, aperto, geniale e normale, che, anche quando era all’apice del successo, ogni mattina andava alla scuola materna di Ponte San Pietro a raccontare favole ai suoi bambini con due strumenti magici, la voce e la chitarra, per renderli uomini migliori. 
Matteo Bonfanti