Soprattutto in tempi di mercato c’è questa cosa che mi colpisce sempre, unica in Europa e, credo, nel mondo, che è l’essere tifoso atalantino in questi anni di grazia gasperiniani. Prima di qualsiasi possibile ragionamento, va detto che in questo preciso momento la squadra bergamasca è la più in forma in Serie A, un gruppo stratosferico che viaggia segnando mediamente tre gol in trasferta e cinque in casa, ad avversarie, la Dinamo Zagabria, il Milan e il Parma, che fino alla sfida con la Dea non erano mai incappate in ko tanto pesanti.

Quarantotto reti segnate in diciotto partite di campionato, la media è impressionante e ci dice quanto la creatura di Gasperini sia un gioiello rarissimo nel calcio di oggi, asfittico e senza spazi, dove spesso fanno fatica a far gol anche le big continentali. Non l’Atalanta, che va in porta con una facilità impressionante, creando occasioni a ripetizioni, almeno venti nei famosi novanta minuti più recupero. Fisicità straordinaria, ma pure un’organizzazione perfetta, con i singoli esaltati da un gioco avvolgente e perennemente offensivo.

Con questa premessa e con in testa le immagini delle ultime due sfide stravinte al Gewiss Stadium, resta il tifoso atalantino, il comportamento nei confronti della società, opposto a quello che l’ultrà aveva nei confronti di altre gestioni.

Partiamo dal passato. Sotto la presidenza Ruggeri, anche nei suoi fasti vavassoriani, la politica era più o meno la stessa attuale: vendere i migliori talenti del vivaio (i gemelli Zenoni, Donati, Pelizzoli e Zauri), tenendo le bandiere (Bellini e Doni), investendo una percentuale dei guadagni in giocatori considerati di categoria (i vari Comandini, Saudati, Rinaldi, Vugrinec, Albertini, tutti però che hanno fallito a Bergamo, e in scommesse). Ad ogni cessione il casino più totale, in modo identico alle altre piazze italiane.

Cosa racconta lo stratosferico quinquennio gasperiniano? Che l’idea ruggeriana è stata portata da Percassi al suo apice, cedendo talenti di assoluto valore addirittura prima di affermarsi a Bergamo (Bastoni e, ora, Barrow e Kulusevski), vendendo a caro prezzo ogni volta i migliori della stagione (Conti, Kessie, Gagliardini, Caldara, Petagna, Cristante e Mancini), reinvestendo i giganteschi utili in minima parte (Zapata, Muriel e Malinovskyi e le tante scoperte del geniale Sartori).

In questa stagione a fronte di cessioni per un centinaio di milioni (20 per Mancini, 40 per Kulusevski, 15 per Barrow, altri quindici in operazioni minori) ci sono stati reinvestimenti per una trentina di milioni (14 per Muriel, 18 per Malinovskyi, più qualcosina per giocatori arrivati per fare panchina).

Il trend è in linea con il mercato delle altre stagioni sotto la guida del Gasp, che, facendo due calcoli, hanno portato guadagni legati alle vendite intorno ai 250 milioni per acquisti intorno ai 70. E se è vero che Percassi ha fatto un grossissimo investimento nello stadio, c’è che grazie alla Champions gli introiti stagionali legati alle prestazioni, ai diritti tv e al merchandising si sono quintuplicati.

E qui sta il comportamento unico nel suo genere del tifoso atalantino, perfettamente rappresentato dal nostro collega Fabio Gennari, che definisce “il solito capolavoro della dirigenza la cessione di Kulu alla Juve”, applaudendo l’operazione. Con lui i tanti appassionati che lo seguono sulla sua pagina, quella di Radio Dea. In un’altra piazza, ricordo ad esempio la cessione di Roberto Baggio alla Juventus, si sarebbe scatenato il putiferio, perché il giovane svedese è in prospettiva uno dei cinque giocatori che condizioneranno il pallone in Europa nel prossimo decennio e pure perché i fenomenali Ilicic e Gomez, gli incedibili, hanno superato la trentina.

C’è, insomma, questa estrema e totale fiducia nei confronti della dirigenza, sicuramente per via dei risultati e per la rassicurante presenza in panchina del Gasp e di Sartori dietro la scrivania, ma pure perché Percassi, diversamente da Ruggeri, è riuscito a far passare l’idea che l’Atalanta non sia sua, ma un patrimonio comune, della nostra città. Gli utili delle cessioni non sono visti come a Milano, a Roma o a Napoli, espropri nei confronti dei tifosi, ma come le meravigliose intuizioni di un uomo dall’incredibile lungimiranza, appunto Percassi, da ringraziare e da celebrare perché sta mettendo al sicuro i conti nerazzurri.

Come raccontato poche righe sopra, l’Atalanta e la sua gente hanno, comunque, ragione, perché la Dea vince spesso, sempre dando spettacolo, è in zona Champions e ha raggiunto gli ottavi di finale proprio della massima competizione europea. Ma è proprio qui, in questo esatto momento magico, che chi scrive, se fosse Percassi, investirebbe quei cento milioni che ha in cassa per colmare il gap, ormai minimo, con Juventus e Inter, con l’acquisto di quei tre big (un centrale difensivo e due centrocampisti) che permetterebbero al Papu e compagni di scendere in campo per vincere tutto.  

Matteo Bonfanti