di Matteo Bonfanti
L’incredibile scomparsa della Stezzanese, avvenuta dalla sera alla mattina, e dopo una storica promozione in Eccellenza, dà una preoccupante immagine del nostro calcio. C’è l’Atalanta, che quest’anno può vantare utili record grazie alle cessioni dei suoi giovani d’oro (Kessie al Milan per 28 milioni, Caldara alla Juve per 20 e Gagliardini all’Inter per 28),  c’è l’AlbinoLeffe, che, udite, udite, incasserà ancora una percentuale dalla futura vendita di Belotti (ai rossoneri per una cifra record?), e ci sono le big di Serie D, che guadagnano ogni volta che piazzano un loro ragazzo nelle categorie più basse.
Ma sotto è il dramma. In Eccellenza e in Promozione le spese sono altissime (rimborsi ai giocatori, al mister, allo staff tecnico, agli allenatori del settore giovanile, i costi degli impianti e dei materiali) mentre gli introiti sono pressoché nulli, considerando che spesso con le quote dei tesserati del vivaio si va in pari. Accade così che D’Adda, dopo ventisei anni passati a finanziare la sua Stezzanese, decide di dire basta staccando la spina a un club fondato nel 1927, cedendo qualcosa di gigantesco dopo un misero incontro. Detto che l’ormai ex presidente ha spiegato sul nostro giornale le sue ragioni, su tutte quella di essere rimasto solo in un momento economicamente difficilissimo, e la sua decisione è assolutamente condivisibile, rimane un punto di domanda sul futuro.
Stezzano e Mapello sono distanti, spesso un genitore, è il mio caso, sceglie per l’attività sportiva dei propri figli una società vicina a casa perché il tempo è sempre poco e il proprio bambino che gioca a quindici chilometri è un bel casino. Perché non va da solo, ma bisogna accompagnarlo e nella nostra provincia di pomeriggio il traffico è pazzesco. C’è poi che una volta raggiunto un campo lontano, si resta lì ad aspettare la fine dell’allenamento, non vale la pena di tornare in ufficio. Insomma sono due giorni la settimana che se ne vanno così, e col lavoro di mezzo è difficilissimo, impossibile.
Nonostante il grande impegno che metteranno nell’operazione i dirigenti isolani, penso che a Mapello andranno in pochi, i più piccoli, liberi da vincoli, ingrosseranno le fila dei club vicini, Oratorio Stezzano, Uso Zanica, Levate, Fiorente Colognola, Azzano Fiorente Grassobbio, dei grandi resteranno giusto le stelle, i Breviario, calciatori di altissimo livello, costruiti da un settore giovanile straordinario come era quello della Stezzanese.  
Disagi e difficoltà saranno per tutti, in ogni caso. E qui partono le mie riflessioni sul calcio bergamasco. Da almeno vent’anni il nostro movimento si fonda su generosi presidenti, un tempo Pellegrinelli a Villa d’Almé, ora Foglieni a Ciserano o Cutrona e Sala a Verdello o Regazzoni a Cisano, imprenditori appassionati, disposti a metterne sempre di tasca propria per far vivere il club del loro paese. Senza il “pres”, la società muore. E questo perché lo Stato e i Comuni difficilmente aiutano le società nonostante la valenza sociale che ha il pallone. In più nelle categorie dilettantistiche il botteghino è irrisorio e il merchandising non esiste.
Bisognerebbe provare a cambiare. Magari con la vendita di sciarpe, cappellini, maglie originali, a genitori, nonne, fidanzate, tifosi storici, la Stezzanese non sarebbe scomparsa perché per D’Adda l’impegno economico sarebbe stato minore. Identico discorso per i biglietti d’ingresso allo stadio.
Noi di Bergamo & Sport è da anni che sosteniamo che se la domenica fosse dedicata esclusivamente al calcio dilettantistico, coi professionisti il venerdì e il sabato, la gente riempirebbe le tribune di Stezzano come quelle di Pradalunga e i guadagni lieviterebbero, assicurando la sopravvivenza di un club indipendentemente dalle sorti dell’azienda del suo presidente. Andate a vedere una partita dell’Ares Redona quando l’Atalanta gioca in anticipo, c’è pieno, pare di essere in Inghilterra, dove i piccoli club hanno il loro seguito, l’impianto-gioiello da mille posti completamente esaurito in Vanarama National League, la nostra Eccellenza. Servono anche strutture migliori. Occorre quindi parlare ai vertici della Lega Nazionale Dilettanti, fermi da anni sulle loro posizioni, perché a Bergamo, la provincia del pallone, le previsioni più rosee di questa estate parlano di almeno dieci società che scompariranno o non avranno più una prima squadra.