Intanto Nicola è una persona buona, dal cuore d’oro, che mi ha sempre aiutato, tantissimo quando ero appena arrivato a Bergamo per capire il mondo Atalanta. Poi mi ha spiegato come funziona la Serie D, quando era il massimo esponente della Pro Sesto, sempre mi ha parlato dell’AlbinoLeffe e del Prato, quest’ultima la squadra della sua anima tra vittorie, sconfitte e un sacco di partite indimenticabili. So del basket grazie a lui, per via del Vigevano, e pure la B del pallone non mi è sconosciuta per via del suo periodo sulla scrivania del miracolo Alzano. Penso che Nic, che di cognome fa Radici, sia in questo momento il maggiore esperto di calcio in Italia, il solo ad aver lavorato in ogni categoria. Nel massimo campionato, accanto a Emiliano Mondonico, come ds della Dea, come in Prima categoria, alla Falco Albino, altro club legato a doppio filo alla sua meravigliosa anima, in ogni esperienza calcistica Nicola Radici ha sempre messo competenza e intelligenza.

Così, dal lontanissimo anno 2000, il mio primo a Bergamo, per me vedere Nicola Radici è uguale uguale a fare un corso di aggiornamento su dove stia andando il calcio italiano. Mi insegna le logiche che lo rendono lo sport più bello e affascinante al mondo, mi racconta ogni volta storie incredibili, che solo una decina di grandi appassionati in Europa conoscono. Come la sua ultima grande avventura, quella alla Linense, quarta in campionato nella Segunda Division B, la Serie C in Spagna.

Arrivato in Andalusia, come sempre in punta di piedi, anche se non lo dice e non ce lo dirà mai, Nicola ha acceso l’entusiasmo in una città di frontiera, che ha mille difficoltà e altrettante contraddizioni, ma una passione legata al fubal incredibile, a riprova il club che ha alle spalle più di un secolo di vita. La prima domanda è quindi sul momento calcistico di Nic. Com’è nato questo nuovo progetto? “E’ da tempo che frequento la Spagna, saranno dieci anni che vivo un po’ qui, a Bergamo, e un po’ là, nella costa di fronte al Marocco. Tre anni fa ero reduce dall’esperienza al Sion, come consulente di mercato, qualcosa di bello, ma che non è mai decollato fino in fondo, quando sono andato a vedere per caso, solo per piacere, una partita del Marbella. In tribuna ho visto quest’uomo, simpatico e vulcanico, che parlava spagnolo con un accento italiano, in romanesco. Mi sono incuriosito e mi sono messo a parlare con lui. Ho scoperto che si chiamava Raffaele Pandalone. Ci siamo subito piaciuti, è stato un attimo, mi ha coinvolto e siamo partiti insieme nell’avventura Linense, la squadra della Linea, la punta più a sud della Spagna”.

E da qui parte una storia straordinaria, che chi scrive, se avesse le competenze calcistiche di Nic, farebbe ad occhi chiusi. “Ero già partito da un annetto con questo progetto, cercare giovani talenti da paesi non ancora colonizzati calcisticamente, parlo, ad esempio, del Guatemala in Centro America, oppure della Sierra Leone, della Liberia e della Guinea Bissau in Africa. Già al Sion avevo proposto ragazzi di quelle nazioni, sconosciuti, ma molto forti. Ma per un motivo o per un altro il progetto non era partito. Mancava, infatti, una società che puntasse su di loro, che li facesse giocare con continuità, anche per farli abituare al calcio europeo. Alla Linense, dove sono vicepresidente, ci abbiamo da subito puntato. In tre anni ho portato tredici giocatori, tutti sono rimasti in Spagna diventando dei giocatori, alcuni con noi, altri nella nostra squadra b, altri ancora in Serie D, due hanno sfondato, uno ora è al Betis, Abdoul Bandaogo, l’altro al Siviglia, Baron Kibamba”.

Due colpi da urlo, tanti in rampa di lancio, su tutti Alhassan Koroma, ala sinistra esplosiva, classe 2000, segnalata a Nicola dall’ex AlbinoLeffe Conteh, e Ashley Williams, altro 2000, attuale portiere della nazionale liberiana. E c’è anche una piccola e meravigliosa storia che arriva dalla Val Trompia… “Sì, il ragazzo si chiama Damir Ruznic. Giocava in Prima, nel Val Trompia, l’ho visto ai tempi della Falco e mi è restato in mente. Alla Linense ci serviva un portiere di talento che facesse la riserva. Ho pensato a lui, l’ho chiamato ed ora è con noi, nella nostra squadra B. Ha i mezzi per fare bene e poi è giovane e sta facendo una bellissima esperienza di vita, che, comunque, gli resterà per sempre”.

Il lavoro di scouting, forse il più bello al mondo… “Occorre innanzitutto avere una rete di osservatori, gente che ne capisce un sacco di pallone, nei paesi che si seguono. Poi bisogna avere tempo per viaggiare e per valutare con calma il ragazzo. Se vale davvero, si investe su di lui, portandolo in Europa, dandogli fiducia… Colgo l’occasione per ringraziare Aldo Cantarutti, ex bomber dell’Atalanta, persona dalle immense competenze che collabora con me in questo progetto”.

E quali caratteristiche deve avere un talento per essere pronto al grande salto? “Prima di tutto deve avere delle grandi qualità morali, credere nelle sue capacità, fare una vita sana ed evitare di demoralizzarsi alle prime difficoltà. Poi, in questo momento, il calcio europeo è molto legato al fisico, quello serve, è inutile nasconderlo. Personalmente credo che negli ultimi anni si stia assistendo anche a un ritorno della tecnica. I tre elementi imprescindibili sono questi”.

I ragazzi che scegli arrivano da nazioni tra le più povere della Terra. “E’ un aspetto importante, da non sottovalutare. Ovvio che questi ragazzi non possono essere aspettati tutta la vita, ma bisogna avere pazienza, dargli un tempo di ambientamento, fargli capire com’è il pallone in Europa, che, rispetto a quello africano, è molto diverso. L’aspetto difensivo, ad esempio, è fondamentale. C’è anche una vicenda sociale. Li si toglie dalla povertà, li si aiuta a costruirsi una vita migliore”.

Dall’Andalusia torniamo per un momento in Italia, precisamente a Bergamo, la tua città, che per te fa rima con Atalanta, il club di sei stato il direttore sportivo. “Che dire? Lunga vita a Percassi e lunga vita a Gasperini, che in questi anni hanno azzeccato qualsiasi mossa, regalandoci anni fantastici, forse irripetibili. E vedo questo come problema futuro, ormai la piazza si è abituata a vedere la Dea come una grande d’Italia e in Europa. Personalmente mi hanno colpito le critiche che i nerazzurri hanno ricevuto dopo il pareggio col Torino dai giornalisti bergamaschi più preparati. Ai miei tempi non sarebbe mai accaduto, ci saremmo tenuti stretti il punto. Ora no. Segno che l’Atalanta è a un altro livello, questo. Ma, lo dico per esperienza, non è facile fare tantissime annate al top… Mi chiedo cosa accadrebbe a Bergamo in caso di una stagione così così… Resta che Percassi è stato fenomenale perché ha scelto due prospetti di valore assoluto, parlo del mister, Gasperini, che, comunque, quando è arrivato a Zingonia, era già un grandissimo per via dell’esperienza a Genova, sponda rossoblù, che del ds, Sartori, che io considero come lo scouting migliore a livello mondiale. Con loro due, che lavorano insieme, la Dea è in mani sicure, destinata a grandi cose. Io personalmente sogno la Coppa Italia, ma si vedrà. Poi c’è anche un altro discorso da fare, che è quello che la rosa ha fatto un salto impressionante in questi anni. La qualità è altissima, ora fare il mercato è più difficile, dalle scommesse bisogna passare alle certezze. Sartori ce la farà. Ma occhio perché anche per lui l’asticella si è alzata notevolmente”.

Come vedi il momento del calcio italiano? “Dalla Spagna mi permetto questo pensiero: noi addetti ai lavori, ma pure i nostri calciatori, non abbiamo nulla da invidiare ai colleghi degli altri paesi europei. Noi italiani siamo tra i migliori al mondo. Se non vinciamo più a livello internazionale, è perché da noi, in Serie A come in Prima categoria, la pressione è troppa. Un po’ non fa male, ma quando è eccessiva il ds, come il mister, come il centrale difensivo, vanno in difficoltà. Bisognerebbe riuscire a vivere il pallone più serenamente, ma non è facile”.

E dal punto di vista economico? “In Italia siamo come in Spagna o in Francia. Stiamo assistendo al pallone durante il covid, in ogni categoria soldi ce ne sono davvero pochi. Le aziende in difficoltà, e, quindi, la fuga degli sponsor, e, anche se non se ne parla mai, gli stadi chiusi stanno cambiando nel profondo il calcio. Si fanno soprattutto prestiti con diritto di riscatto, raramente si investe su un prospetto”.

Da una domanda all’altra, vista la qualità delle risposte. Parliamo di allenatori, tu che ne hai avuti tanti e di ogni genere… “Da quando ero all’Atalanta vedo come sia cambiato il rapporto tra noi dirigenti e i nostri mister. Dea a parte, adesso c’è la moda di cambiare allenatore al primo errore. Non so se sia giusto o sbagliato, ma solo un paio di decenni fa i tecnici si difendevano a oltranza. C’era una progettualità che andava oltre a una manciata di partite. Io, personalmente, ragiono così, a ogni mister che sono lì e lì per esonerare do almeno tre partite. Se le sbaglia tutte, è il momento di cambiarlo. Ma è una cosa che ho imparato col tempo, prima ero molto più istintivo, adesso ci ragiono”.

Nonostante a Nic vorrei chiedere un altro centinaio di cose, lo lascio andare, ringraziandolo per le sue parole. E’ a Bergamo da qualche giorno e prima di tornare alla Linea deve incontrare mille persone. Così mi permetto l’ultima domanda: la Linense è quarta in classifica, reduce da tre vittorie, cosa sogni per il tuo club? “Ovviamente la Serie B, ma non è facile… Nel nostro girone ci sono squadre fortissime. Vedremo”.     

Matteo Bonfanti