“Tonight, tonight”, indipendente da come potrà mai finire ad Anfield, in mezzo c’è comunque l’intera poesia che è il calcio, che poi per me, bergamasco d’adozione, più ancora del mio Milan visto da bambino con Blisset in attacco sul secondo anello di San Siro a mano con mio babbo, è quella dell’Atalanta, perché io c’ero al Comunale quando si scendeva in Serie B al grido di Makinwa sindaco, ero lì a piangerne e a scriverne, ed è il pallone, la disciplina sportiva più bella al mondo semplicemente perché è la massima metafora della nostra esistenza. Capita a tutti, persino ai migliori, di essere scassati e a pezzi, insomma irriconoscibili. Accade di bere come matti, di non capirne più, storditi, soli e perduti lungo una strada sconosciuta, facendo il conto dei giorni che ci si è persi. Succede di retrocedere, perché a volte va tutto storto ed è un casino, del resto così va il mondo, poi però il cuore si risveglia e in un giro di giostra, magari per ottantasette minuti, avviene che tu sia il meglio di te, il massimo dei massimi, quello che è sulla bocca di tutti perché ha fatto il culo quadro a Mbappé e all’intero Paris Saint Germain, il meglio che c’è. Questa è stata l’epoca Percassi-Gasperini, una rivelazione calcistica di portata evangelica, tra le pochissime di questo nostro tempo dove contano solo i denari a pioggia, un po’ le parole di Giovanni, l’unico autore dei quattro da leggere del best seller più venduto di sempre, il Vangelo, che racconta dell’uomo che muore in croce per risorgere, un altro po’ l’Arancia Meccanica dei Mondiali del 1974. E non importa vincere o perdere, conta avere i mezzi mentali per battersi all’ultimo sangue. Questo ci ha insegnato la Dea, che niente è impossibile, che si può essere brutti, sporchi, cattivi e chiacchierati e diventare un attimo dopo l’esempio principe in Europa. Così come nel testo della canzone, questa notte, questa notte, “Tonight, tonight”, all’ora della partita vorrei che ogni persona a cui voglio bene, a chi ho amato e prova con fatica a starmi ancora accanto, a chi ho amato e ora non c’è più, ma poi soprattutto a me, la persona a cui tengo di più, passasse forte e di nuovo l’idea che ci si può trovare sulle rive tempestose di un destino cinico e baro, tra i fulmini di una notte buia come la pece, all’ultimo posto del mondo, ma mettendosi a testa bassa, lavorandosela ogni minuto vestiti di fresco, magari coi sistemi del Gasp, avvicinandosi a gente che non bara, ma che vale, proprio come gli acquisti del Tone, un attimo dopo ci si può trovare a giocarsela alla pari con una delle squadre migliori del globo terracqueo. Perché la pioggia va e ritorna il sereno, ma serve volerlo. E a Liverpool, i nostri inviati ci dicono ci sia il sole.
Matteo Bonfanti