Da marzo Ruslan Malinovskyi è sbocciato come una serra intera di fiori a primavera. Più precisamente, dal 21 a Verona, nella prima virata stagionale al 4-2-3-1 dallo start. La data d’inizio della sua saga personale con la partecipazione a 10 marcature di squadra su 18 nelle ultime 7 uscite: 4 personali e 6 smazzate vincenti per un grido di esultanza di un compagno, 5 match da titolare. E soprattutto a segno da tre partite, condite da un assist a Duvan Zapata grazie a una veronica con sterzata taglia-difesa, nel trittico settimanale da 7 punti su 9 tra Juventus, Roma e Bologna. Meno male che il nuovo Papu, ovvero il suo erede in formazione, doveva essere Matteo Pessina, il punto fermo, il tappo a tutti gli equilibri che col gallo di troppo nel pollaio dell’Atalanta sembravano saltati tra autunno e inverno. Ma l’ucraino, definito “in questo momento l’unico determinante” sabato scorso dallo stesso Gian Piero Gasperini, l’unica cresta autorizzata ad alzarsi a Zingonia per decisione di Antonio e Luca Percassi con l’addio forzatissimo del capitano, oltre ad aver relegato il brianzolo a due panchine consecutive si sta scoprendo sempre di più il vero nuovo leader di una rotazione tornata amplissima dopo il ritorno dai box di Hans Hateboer.

Lo scherzo del destino dell’alternativa iper-offensiva al prestito di ritorno dal Verona, mancino di piede come lui ma certamente privo delle stesse qualità balistiche e molto più efficace in copertura, è che a togliere di mezzo il rivale è stato il suo stesso freno, insieme all’ernia addominale, di un girone d’andata quasi da fantasma. Il maledetto virus, e cos’altro avrebbe potuto essere? Figlio, in entrambi i casi, a novembre per il Colonnello e recentemente per l’azzurro, delle finestre assurdamente tenute aperte da Uefa e Fifa sulle Nazionali in piena emergenza pandemica, quando la mera positività viene spacciata per una sciagura planetaria a rischio di bloccare le competizioni sportive oltre a qualunque altra forma di socialità. Malina, di recente, ha rivelato di aver avuto qualche giorno di febbre durante l’esilio forzato alla Muratella, rifugio Covid prescelto. Per il suo contraltare è stata la seconda volta, smaltita nei canonici dieci giorni di quarantena al riparo da sintomi, al contrario della prima vissuta in riva all’Adige ma prima della ripresa del campionato scorso, da quel che s’è capito dalle rivelazioni dell’interessato.

Forse coi bianconeri il Gasp non ha visto al massimo il pupillo post Papu, al rientro, ed ecco l’altro jolly calato dal primo minuto tranne che in quella supersfida dove è entrato e l’ha messa per il bottino pieno nel finale. Fino a metà del guado, i frequenti avanzamenti a secondo attaccante, puntando ovviamente il vertice destro per poter rientrare sul piede preferito, avevano scombussolato colui che da due mesetti sta facendo la voce grossa a pelo d’erba. Solo la punizione magica alla Fiorentina, prima, in mezzo a troppa raucedine, per far festeggiare degnamente Santa Lucia alla Bergamo che stravede per il pallone. L’attrezzo che lui sa indirizzare benissimo, quando si sente responsabilizzato, nel sacco o a tiro di esecutore.

E così, dopo il gioiello per riacciuffarla il 27 gennaio nel quarto di Coppa Italia con la Lazio, nella riedizione dopo il Cagliari della formula della trequarti dell’Est con Aleksey Miranchuk, il battistrada sotto l’incrocio nella tana della Samp a fine febbraio in una delle combinazioni preferenziali con Luis Muriel, fino agli exploit recenti. La Dea non ha salvatori della patria a cui aggrapparsi, ma il quasi ventottenne di Zhytomyr, candeline il prossimo 4 maggio ovvero due giorni dopo la sfida al Sassuolo, può finalmente imporsi tra gli intoccabili. Con lui la squadra è meno solida in fase di non possesso che con il buon monzese, doppiettista anti Napoli di coppa col solo gol ai neroverdi all’andata all’attivo in campionato. Però a 6 (su 16 nel biennio, finora) più 9 passaggi al bacio (idem) per un appoggio facile facile, vuoi mettere, chi direbbe di no a cuor leggero?
Simone Fornoni