Questa la dettagliata e stringata cronaca di quanto accaduto questa mattina al civico numero 3 di via Santa Caterina, serie di fatti che hanno turbato non poco la mia quiete e pure quella di due laboriose lavoratrici. Sono le nove e trentacinque circa, io sto dormendo beatamente, nonostante che l’anziano divano rosso fuoco, su cui sono steso, abbia recentemente perso un bel pezzo di poliestere, credo in occasione dei festeggiamenti per il compimento della sua maggiore età, e che la cosa spesso mi costringa a dormire raggomitolato per non ferirmi con una barra di ferro molto appuntita che fuoriesce dal suo lato destro. Sto sognando, come sempre qualcosa di strano, una donna gigante, tipo alta tre metri, coi piedi nudi e con le sue venti unghie tutte dipinte di nero. La signora, bionda e, a occhio, di mezza età, mi sta facendo un sacco di carezzine sulla crapa rassicurandomi dolcemente sulla grandezza della mia testa. Mi dice “non è così grossa. Da lontano sembri anche abbastanza normale”. E io le sorrido. Ci stiamo per baciare quando mi sveglio sentendo il campanello. Ma non è un passaggio leggero, tipo Bob Marley dal telefono per tirarmi in bolla intorno alle undici sulle note di Buffalo Soldiers, è più un trauma pesantissimo perché di là c’è uno che sta appiccicato al tasto, insomma già incazzato duro prima ancora di vedermi. Mi sento in colpa preventivamente, non chiedo chi è e gli apro. Sono nudo, mi scappa la pipì, corro in bagno. Cerco la tuta blu Tezenis, non c’è. Trovo a cazzo la vestaglietta azzurra in acrilico cinese altamente infiammabile, quella famosina, un tempo di proprietà di mia mamma, la metto e apro la porta. E lui è lì, in fondo alla rampa delle scale, un giovane gigante interamente di colore giallo, forse figlio di boliviani o di pakistani o di una donna boliviana e di un uomo pakistano o viceversa, con addosso una magliettina celeste di due taglie in meno della Sda Express Courier e in mano un pacco, forse con dentro una bomba a orologeria. Gli dico “sali”, mi dice “perché poi? Scendi tu…”. Gli dico “scusa, non volevo”, mi dice “sei tu, Vinicio Bonfanti?”. Gli dico “no, è mio figlio, cambia?”, mi dice “hai sempre una domanda e io ho già perso troppo tempo”. Gli dico “va bene, ma adesso che succede? Mi meni?”, mi dice “no, mi dai trentuneuroecinquantasettecentesimi subito e ti do il pacco o me ne vado portandolo con me”. E intanto mi accorgo che alla vestaglia si è aperto l’ultimo bottone e ho il pene fuori. Lui lo vede ed è seccato. Mi compongo. Gli dico “aspetta” e intanto cerco il portafoglio, mi dice “sono già cinque minuti, anche basta…”. Mi giustifico “sono un giornalista sportivo, è che stanotte ho finito di lavorare alle quattro…”, mi pressa “non sono qui ad ascoltare i tuoi problemi. Torno domani”. Panico. Trovo i soldi, un cinquantino nei pantaloni di una pubblicità fatta sul Bergamo & Sport e che non ho ancora versato in banca, lo rincorro in vestaglietta e glieli do. “Li voglio giusti”. Apriti cielo. Sono sul punto di bestemmiare, ma ho l’intuizione in grado di far cambiare l’inerzia della partita: corro al Bicerì a farmi cambiare il denaro, le bariste, Greta e la signora bionda gentilissima di cui non so il nome, mi vedono in vestaglia e angosciatissimo e si mettono a disposizione. Consegno i soldi al gigante giallo che nel frattempo è ricomparso all’improvviso dandomi l’ultima bottarella, “mancano sette centesimi… Li metto io che con te non ce la faccio più…”. Mi sento un rimbambito e un pezzente. Con le ultime forze porto il pacco in salvo. Mi faccio un caffè, lo bevo e scrivo a Vinicio e a Zeno, i miei figli, sul nostro gruppo di whatsapp, “La Sacra Famiglia”, per rassicurarmi riguardo al contenuto. I pareri sono discordanti, “sono vestiti”, sostiene il primo, “sono armi”, è convinto il secondo, i due però concordano sul fatto che mi devono dare i trentuneuroecinquantasettecentesimi pescandoli tra i soldi delle bustine della nobilnonna, la Vale. Mi sento rassicurato, che per tutta questa fatica ho guadagnato la bellezza di 0,07 euri. Non poco coi tempi che corrono.
Matteo Bonfanti
Nella foto i protagonisti, da sinistra: il pacco bomba, la vestaglietta azzurra e il divano diciottenne