“Un foglio bianco, una penna. Chiudo gli occhi, butto fuori l’aria. Li riapro, è arrivato il momento […]. Ho ripreso in mano la mia vita”. Mattia Caldara s’è ritirato. Il centrale difensivo efficacissimo e di bello stile lanciato già da Stefano Colantuono prima del prestito trapanese e cesenate con ritorno alla base ed esplosione sotto Gian Piero Gasperini, il ragazzo di Scanzorosciate che il 5 maggio ha compiuto solo 31 anni, ha affidato l’addio a una lettera a se stesso, più che ai tifosi, pubblicata da gianlucadimarzio.com. Un congedo di cui riportiamo alcuni passi. Quelli dei primissimi nel calcio dei grandi e soprattutto quelli degli infortuni.

Cominciamo dalla fine: “A fine agosto ho fatto delle iniezioni di testosterone. ‘Mattia l’ago non passa, non c’è spazio tra la tibia e il piede. Decidi tu, ma se continui così dovrò metterti la protesi’. In quel momento l’ho decisoEra il momento di dire basta. Basta al calcio giocato e, soprattutto, alla sofferenza e al vuoto che da anni mi accompagnavano. Anni in cui mi sono nascosto da me stesso. Ho ripreso in mano la mia vita. Sto recuperando quello che ho perso”.

“Caro calcio, io ti saluto. Ho deciso di smettere”, s’intitola il primo capitoletto o capoverso, chiamatelo come più vi aggrada. “Tutto è nato a luglio dopo una visita da uno specialista: ‘Mattia non hai più la cartilagine della caviglia. Se continui tra qualche anno dovremo metterti una protesi'”

Tutto cominciato, in realtà, “quando il mio ginocchio si è rotto. Ricordo ancora il primo passo dopo il contrasto: ho sentito la terra cedere sotto il mio piede. Sono crollato. Prima fisicamente, poi mentalmente. Ero nel punto più alto della mia carriera, poi in pochi secondi è cambiato tutto. Con il tempo sono stato meglio, ma non sono mai stato bene”, puntualizza Caldara, sposato con Nicole Nessi e padre di due maschietti, Alessandro, venuto alla luce al ritorno a Bergamo dal Milan, il 9 giugno 2020, e Ludovico, venuto alla luce da “spezzino” allo start di agosto di tre anni fa. “Non sono più riuscito a tornare a essere quel Caldara. Ci ho provato, ma non era più possibile. Questa rincorsa a un’illusione mi ha logorato”.

Spazio al pallone, compagno inseparabile da salutare. Ricordo il mio primo allenamento. Mi aveva accompagnato il nonno. Ero arrivato e mi ero ritrovato davanti a questo campo immenso pieno di bambini. Non sapevo, forse, che sarebbe diventato la mia casa. Una casa che mi ha reso la persona che sono. La mia mente torna alle partitelle in oratorio con gli amici, ai tornei con l’Atalanta, ai viaggi in moto con papà e alla pasta preparata da mamma prima di andare a giocare. Anche se ho rischiato di non diventare un calciatore. Avevo 17 anni, il tendine rotuleo si era lesionato”.

Quindi, quell’Atalanta-Napoli risolta da Andrea Petagna che cambiò il corso della storia atalantina e di Gian Piero Gasperini, ma anche ovviamente il suo. “Il 2 ottobre 2016 ho capito di poter diventare Mattia Caldara. La mia prima da titolare contro il Napoli. Venivo da anni di prestiti in B. Avevo il timore che anche quell’estate mi potessero mandare ancora via. Alla fine sono rimasto, vivendo momenti fino a poco tempo prima inimmaginabili. Da non essere conosciuto da nessuno, mi sono ritrovato a fare interviste tutti i giorni”.

“Tante squadre si erano interessate a me in quei mesi. A dicembre sono stato preso dalla Juve. E in quel periodo la Juve era una realtà a parte, inavvicinabile. In bianconero, però, non ci ho mai giocato. Sono rimasto in prestito a Bergamo. A Torino poi ci sono arrivato nel 2018, senza però fermarmi. Venivo da stagioni in cui ero abituato a giocare e lì avevo davanti Chiellini, Bonucci, Barzagli. Quando ho saputo dell’interesse del Milan ho accettato. Guardando indietro sarebbe stato meglio rimanere lì. Sono stato debole di testa. Mi avrebbe fatto bene rimanere in un mondo come quello della Juve, imparare da quei campioni. È il più grande rimpianto che ho”. Poi, la sequela dell’infermeria: “Ottobre, un allenamento come tanti altri. Stavo correndo, all’improvviso come se qualcuno mi avesse sparato sul tendine. A marzo ero pronto per scendere in campo. Sono rientrato in Coppa Italia contro la Lazio. Sarei tornato a giocare in Serie A, finalmente. Tutto finito in pochi secondi. Ho quell’immagine davanti a me. Borini mi cade sul ginocchio. Nel mezzo un tendine rotuleo rotto e il problema alla cartilagine della caviglia che mi ha costretto a smettere. Ma tutto è cambiato con quell’infortunio al ginocchio. In quell’allenamento una parte di me è morta per sempre”.

Mattia Caldara

Bergamo, 5 maggio 1994
Difensore centrale – 1,87 per 80 chilogrammi
2000-2004 U.S. Scanzorosciate (giovanili)
2004-2014 Atalanta (giovanili)
225 partite, 17 gol e 6 assist da professionista: Atalanta (93 – 10 – 3; 2013; 2016-2018; 2020), Venezia (33 – 1 – 1), Cesena (29 – 3), Modena (27 – 1 – 1), Spezia (22 – 0 – 1), Trapani (22 – 2), Milan (3)
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