di Matteo Bonfanti
Diceva mister Rizzi, quando giocavo a Valmadrera, noi in cerchio prima di scendere in campo, lui a spiegarci un po’ come affrontare la partita, parlando di tutti, spesso di me, la sua croce per via che dal 50° in poi iniziavo a fare il cazzo che mi pareva, il fantasista aggiunto ai tre d’attacco: “Un asino non diventa un cavallo neppure se lo allena il mago Zurlì. Quindi Bonfanti resta tranquillo a centrocampo, dietro, che non sei né Van Basten né Gullit, ma neppure Virdis (era milanista ndr). Sei un uomo di fatica, corri dietro all’avversario e lo meni, quindi dai il pallone a Gando, che è bravo e fa lui. D’accordo?”. Annuivo e nel primo tempo stavo buono buono, fedele alla linea, poi arrivava la ripresa e me la vivevo da anarchico del pallone in barba ai dettami del mio tecnico finché non mi cambiava, quasi sempre verso il settantacinquesimo. Ho avuto un sacco di tecnici nella mia breve e modesta carriera, nessuno di loro mi ha migliorato minimamente. Non ho imparato una minchia tatticamente e continuo a fare i tre palleggi che facevo a sei anni, quando ho iniziato.
La premessa, ovviamente non doverosa, per introdurre il tema del giorno: quanto conta il povero cristo che sta in panchina? Uno in gamba fa la differenza? Uno scemo affossa la squadra? Nonostante abbia parecchi amici che spendono la loro vita in quel modo, tra l’altro faticosissimo e zeppo di frustrazioni, fossi il presidente di una società eliminerei la figura dell’allenatore. Se una squadra è costruita bene, non serve. Chi sa giocare a calcio s’intende a occhi chiusi con gli altri che Dio ha dotato di piedi sopraffini o di un cuore grande e forte o di sette polmoni o di tutte e tre le cose insieme. A questo punto il lettore atalantino mi tirerà fuori Gasperini, protagonista assoluto del magic moment nerazzurro, oppure verrò aspramente criticato dall’esperto di pallone della media Val Seriana, che mi parlerà di Foresti, il Ferguson della Gavarnese, Promozione C, uno che ogni anno parte con una rosa low cost, costruita su giovani d’oro e scommesse, e che regolarmente riesce a trasformarla in una macchina perfetta in grado di togliersi una raffica di soddisfazioni. Anche in questa tormentata stagione, a riprova l’impresa di domenica, arancioverdi che polverizzano la Pradalunghese dei fenomeni (Cerea, Tanferna, Borlini, Vigani, Sala, giusto per citare i cinque più famosi) grazie ai gol di Gotti, che lottatore, e di Pellicioli, il migliore, indiavolato e ispirato in mediana, il famoso uomo in più.
Gasp e Foresti sono le due eccezioni che confermano la regola che abbiamo sotto gli occhi in questo martedì di fine gennaio. A Cisano avevano un tecnico tra i migliori che ci sono in circolazione, Maffioletti, un mister che ha fatto la Serie D alla grande con il gran poco che c’era ad Albano. A fine andata gli All Blacks erano in fondo alla classifica e Forliano e Nervi hanno deciso di cambiare. Hanno preso Finazzi, altro grandissimo, il Mourinho della Bergamasca, che a Grumello ancora rimpiangono, e per ora non sembra cambiato nulla: squadra in fondo alla classifica, formazione che non gira, reduce da due brutti ko. Discorso pressoché identico a Treviglio, dove il subentrato Poma non è ancora riuscito a dare lo scossone e domenica ha fatto un punticino striminzito con l’AlbinoGandino.
Dall’Eccellenza alla Serie A, ecco il Milan: Montella, che mi piace, che ha stile, sta facendo gli stessi punti, pochi, di Mihailovic, a causa di un gruppo che è rimasto pressoché identico a quello del 2015/2016. Pioli ha preso in mano l’Inter in corsa, che ha una rosa della Madonna, e l’ha fatta decollare, ma con quei giocatori lì sarei stato capace anch’io, bastava fare scelte normali, non quelle del folle De Boer. Il Pescara fa schifo nonostante Oddo, applauditissimo e che se la mena manco fosse Guardiola, il Crotone è terzultimo con al comando Nicola,  sponsorizzato da Caressa, Vialli, Bergomi e compagnia danzante come il nuovo Sacchi.
Torniamo a noi, ai dilettanti orobici, alla corazzata Pradalunghese, che doveva ammazzare la Promozione C con Zambelli, un signor tecnico, che ha vinto da tutte le parti, e non ce l’ha fatta. E’ arrivato Sgrò, altro nome di grido, super anni fa a Cologno, e l’ex atalantino ha esordito in panchina con un inaspettato ko interno. Significa che il problema dei biancorossi non è in chi sta in panchina, ma in chi scende sul rettangolo di gioco, magari non al top della forma o in fase calante dopo stagioni passate a fare la differenza in qualsiasi categoria (bomber Sala domenica ancora insufficiente).
Emblematico anche il caso Città di Seriate del presidente Chiari, Seconda girone B, club che ultimamente si è affidato a Comi, tecnico preparatissimo, tra i più stimati della nuova generazione. Eppure le domeniche da dimenticare si assommano e stanno diventando tantissime.
Evito l’elogio di chi ha già conquistato il proprio campionato, Garbelli a Villongo (Prima F), Astolfi ad Albino (Seconda B), scesi di diverse categorie con l’unico obiettivo della promozione. Vincere con i favori del pronostico non è mai facile, ma che calciatori hanno rispetto alle avversarie?
Resto quindi dell’idea di mio babbo, ex mister dei pulcini del Maggianico, e scrivo un suo pensierino riguardo alla categoria allenatori fatto anche da Allegri proprio ieri sera: il tecnico bravo è quello che non fa danni. Non è un caso che i più pagati al mondo sono Ancelotti e Lippi, i più normali di tutti, due che non hanno mai un’alzata di ingegno che sia una, che lasciano fare ai giocatori che sono gli unici protagonisti e che cambiano le partite anche solo con una giocata.