Immensamente felice dello scudetto del mio Milan, che per me è soprattutto una storia di legami poetici perché il più delle volte perdenti, del resto noialtri non siamo né la Juventus, ma manco l’Inter del Triplete. Poi nel mio caso è sempre una vicenda di famiglia. Condivido infatti l’amore per i rossoneri soprattutto con mio babbo, Marco, la mia prima volta a San Siro, la finale con la Steaua a Barcellona, mano nella mano sugli anelli, prima a vedermi quella feroce pena che erano Incocciati, Scarnecchia, Wilkins e Blisset, poi l’immensità del pallone che erano Maldini, Donadoni, Gullit e Van Basten a zona, con Arrigo Sacchi in panchina. Ogni volta con Chiara, mia sorella grande grande, e Nicola, mio cugino gigante, in macchina con noi, poi loro in curva sud, sciarpati, perennemente a fare casino, per poi raccontarci le menate con quelli dell’Hellas Verona o le amicizie coi napoletani. Accanto a noi, sul secondo anello c’era mio zio, Franco, ex calciatore del Lecco, a commentarci il tutto, e c’era Bitti, una persona speciale, sensibile, assai d’oro e d’argento. Eravamo i Bonfanti in gita, quattro sulla Ritmo, altrettanti sull’Austin Allegro, con i panini con le polpettazze di mia mamma sigillati nel domopack, la Valeria a prepararci da magnare la mattina, rossonera pure lei, ma senza aver visto mai una partita. Altro giro di giostra e il Milan era Ernesto, il mio secondo babbo, il nuovo marito di mia mamma, la già citata Vale, un uomo di una dolcezza eccezionale, la tessera nella stagione con Roby Baggio in attacco, un premio per conoscerci, per annusarci e per vivercela meglio insieme a Valgre, uno scudetto vinto evitando la fatica, talmente sul campo del Meazza erano tutti straforti, dei mostri telecomandati illuminati da Savicevic, il solo genio visto in carne e ossa in vita mia. Ed ora il Milan sono i miei due tesori, i miei figli, Vinicio, convinto alla fede rossonera per il fatto che tutti quelli che lo incontrano gli dicono che è uguale uguale a Sandro Tonali, e Ze, che ha preso dal pakistano la maglietta rossonera con dietro il diciannove di Bonucci, casacchina che a Cattolica svendevano a sei euri. E’ un punk e pure Theo e Leao lo sono, liberi e vivi, feroci, sinistri come lo siamo tutti nei migliori momenti di noi, quelli in cui si sogna un mondo migliore. Ibra è uno zingaro come me e meriterebbe un articoletto a parte, tanto è immensamente fico, che mi sgrilletta sempre il mio trenta per cento gay, il solo uomo a cui io glielo darei e oggi, lo giuro, quando è uscito col sigaro, ho pianto tanto era l’ammore, con due emme, da baci lunghi lunghi e all’improvviso. Coi miei figli la scelta poteva essere solo quella, il Milan, appunto la nostra famiglia. Domani noi tre andiamo a Milano a festeggiare. E nella mattinata chiamerò ognuno della mia famiglia, mio babbo, mia sorella, i miei cugini, Ernesto e Valeria. Vorrei anche Andre, che è il Guaro, il Gillo, il signor Lochis, Normanno, Battista Battistini e il pres Tuttavilla, sei del pallone dei dilettanti che sono rossoneri e anche stupendi stupendissimi sui campi tra Gorle, San Paolo, Martinengo, Montello, Cividino e Cavernago, fratelli pure se ci vediamo poco e male. Venissero con noi, facessimo il pullman, a chiudere questo cerchio, questa nostra fantastica storia di famiglia che è il Milan. Ricordando mio zio Franco, che ora non c’è più, ammazzato da un tumore, e che sarebbe stato il primo a partire verso San Siro mollando tutto per gridare al mondo “rossoneri siam”.
Matteo Bonfanti