Bruno Bolchi non merita di essere ricordato per quella sfortunatissima mezza annata di serie B, da allenatore, 18 partite e poi avvicendato da Giulio Corsini, al termine della quale l’Atalanta sarebbe incappata nella storica retrocessione in serie C1 nel 1980/81. Maciste, scomparso martedì in tarda serata a Villa Donatella a Firenze per il riacutizzarsi di un male incurabile che pareva sconfitto anni fa, dopo l’assaggio della prima Grande Inter di Helenio Herrera scudettata nel ’63 era stato il mediano destro della Dea targata Ferruccio Valcareggi nel 1964/65. Una squadra molto bergamasca e dalla massiccia presenza di superstiti della Coppa Italia, lo stesso torneo che avrebbe vinto lui al Torino nel ’68, guarda caso l’avversaria dei nerazzurri in quel magico pomeriggio a San Siro, il 2 giugno ’63: da Pizzaballa a Nova, passando per Pesenti, Nodari, Gardoni, Colombo e Mereghetti.

Viveva da tempo nei pressi di Montecatini Terme, a Pieve a Nievole. Lascia la moglie Paola e i figli Alessandro e Andrea. Interista dentro e di formazione calcistica, ebbe nel Verona in B e nella Pro Patria le altre tappe della carriera in campo appendendo le scarpe al chiodo trentaduenne. Nel palmarès, 4 partite con la Nazionale azzurra con debutto a Roma in Italia-Inghilterra il 24 maggio 1961. A Bergamo, invece, quelle 26 partite a pelo d’erba condite da 2 palloni nel sacco, 15 anni prima di essere richiamato come tecnico dal neo presidente Cesare Bortolotti, appena ricevuto lo scettro da papà Achille. Lì i vari Baldizzone, Vavassori, Filisetti, Festa, Rocca, Scala e Bertuzzo non ci misero la toppa e Maciste ci rimise il posto. Anche a Verona e Busto Arsizio da giocatore, ritiratosi a 32 anni, il meglio in panchina lo visse a Bari, doppia promozione dalla C1 (1985), Cesena (1986-87), Lecce (1992-93) e Reggina (1998-99) anch’esse portate nel massimo campionato e con la Pistoiese trascinata in cadetteria. Gli sia lieve la terra.