Dice uno dei miei due, quello che tutti sostengono sia simile a me, chiassoso, chiacchierone e maledetto, mentre tento maldestramente di fare il padre normo-dotato rompendogli le palle ad oltranza perché in classe fa un casino boia e la cosa non permette il regolare svolgimento del programma scolastico in testa a due sue insegnanti (come da mail sulla mia posta): “Va bé, capisco se mi sgrida la mamma, che è brava, ma tu, Matti, non puoi. Devi startene zitto…”. Lo imploro di chiamarmi papà, giusto per la solenne occasione, la prima volta in vita mia che gliela meno. Il giovane ignora la mia legittima richiesta non ritenendola tale e riparte all’attacco: “Matti, piantala, è da quando siamo nati che ci ripeti all’infinito di ribellarci all’ordine costituito, soprattutto quando si tratta di professori, arbitri e politici…”. Vado in difficoltà. Ci penso su. Ha ragione. C’è pure un mio pezzo in rete, Elogio alla ribellione, scritto quando andava in terza elementare e pisciava sulla carta igienica, ne faceva delle palline e le lanciava sul soffitto dei bagni. Mi arrampico sugli specchi: “Sì, ma io ve lo dicevo in senso lato, filosoficamente, col pensiero”. Lui: “Eh no, caro Matti, col cazzo…”. E mi cita il verso di “Figlia” di Vecchioni, una canzone che gli facevo sentire in maghina quando erano popini, un disastro educativo paragonabile solo alla visione di The Day After, il film-horror sulla bomba atomica, sul divano coi miei che avrò avuto sì e no otto anni, “sempre contro finché ti lasciano la voce. Matti, è così?”. Io muto, ormai impacchettato dal ragazzo, che, va detto, è parecchio intelligente, molto sveglio, tanto tanto più di me, bellino e ha pure buona memoria. Mi dà l’ultima botta: “E poi con quel cappello e i pantaloni stracciati nonostante il tuo ruolo, il direttore di un giornale… E’ giusto come fai tu, viva la libertà, viva la libertà, viva… A scuola ce l’hanno con me, mi vogliono diverso. Ma io non mollo”. Non so che minchia dire, mi astengo, batto in ritirata, prendo le sigarette e mi isolo sul terrazzo. Ricordo il caos fatto al Liceo, lo stesso che faccio ora qui in redazione. E penso a quanto il me-Matti sia inconciliabile con il me-papà-serio, che, come dimostrato dal rapido scambio di battute, non ha la benché minima credibilità se il tema del giorno sono le regole. Piuttosto Messico & Nuvole. E siamo al finale, che un epilogo degno dev’esserci ogni volta. Esce anche lui, che tra noi l’amore è fortissimo ed entrambi sentiamo che c’è qualcosa che non va in questo cielo e in questo cuore qua. Mi chiede “ma c’è caso che mi porti al mare?”, “sì, dai, ci prendiamo due giorni ed andiamo ad Atene”. Ci abbracciamo e mi sussurra quattro parole: “Vedrai quanto ci scappelliamo…”. E penso alla fortuna che ho, quella di essere il genitore due, i sogni e tutto il resto, perché per fortuna c’è il genitore uno, che lo tiene (con fatica) attaccato alla realtà. 
Matteo Bonfanti