C’è questo consiglio che ultimamente do ai miei figli e ai loro amici che è di mettersi seriamente con le parole e con le frasi per arrivare un giorno a fare i giornalisti sportivi, il mestiere più incredibile al mondo, uno dei pochi che nella stessa domenica ti permette di frequentare una decina di ambiti diversi, allargandoti la mente, portandoti ad aprire il cuore a qualunque abitante del pianeta Terra anche perché, con chi sa scrivere, quasi tutti si comportano bene bene, spesso addirittura dolcemente.
Così ieri, domenica 19 febbraio del 2023. Mi alzo dal divano verso le dieci con addosso Zeno, il mio secondo, l’adolescentino più carino che c’è nella zona orobica che va da via Santa Caterina a Borgo Palazzo, calciatore del Ranica. Parliamo di politica e di sport. Accendo il cellulare e un uomo assai affascinante, Marco, di cui ho scritto un paio di volte per via di una sua idea rivoluzionaria, ci invita al Gewiss Stadium, nello sky box della sua azienda per vedere Atalanta-Lecce. Coinvolgiamo al volo Mattia, un socio di Ze di fede nerazzurra, e partiamo per questa nuova avventura. Intanto la strada, viale Giulio Cesare, senza macchine e coi tifosi in festa, poi noi tre, felici di stare per un bel po’ insieme sparando cazzate su Baschirotto, Muriel e il Gasp, quindi l’accoglienza delle hostess, ragazze fighissime. E così, prima ancora di sederci, ci sentiamo già dei vip, tali e quali a Giorgio Gori o ad Antonio Percassi.
Ci accomodiamo. Mangiamo, io sei pizzette, un piatto di polenta col brasato e una fetta di torta con la crema, beviamo, io mezza bottiglia di un prosecco che va giù uguale uguale alla famosa agua della sorgente che sta in mezzo a San Pellegrino, chiacchieriamo, io tanto con Marco, scoprendo un altro pezzetto della sua entusiasmante e mirabile vita. Per due ore, che passano in un battibaleno, io, Zeno e Mattia ci sentiamo ricchi, famosi e coccolati.
Alle due e mezza del pomeriggio sono per strada, obiettivo Pagazzano, per la sfida di cartello del girone C di Promozione tra i biancorossi di mister Piacentini e il Torre de’ Roveri di quel geniaccio di Maicol Bellina, che però parte dalla panchina in quanto acciaccato. Passo al volo dallo sky box col divanetto per rilassarsi tra un tempo e l’altro, col menù in tasca e la tv a portata di mano per vedere e rivedere se Ceesay abbia davvero tenuto per la maglia Demiral a una magia calcistica diametralmente opposta, stretti stretti in una poetica tribunetta di paese costruita a metà degli anni Settanta. E lì trovo ogni cosa delle tante che mille anni fa mi hanno fatto innamorare perdutamente del nostro calcio di provincia. C’è il vecchio dirigente all’ingresso che mi sorride, mi conta su due balle sul difficile momento biancorosso e mi fa entrare senza pagare in quanto giornalista, “però, Matteo, devi scrivere bene di noi…”. C’è il baracchino con la volontaria che vende la pinta di birra e il panino col salame, soldi che servono a far giocare gratis i bambini della zona che hanno i genitori che stanno facendo una fatica boia. Ci sono i presidenti delle due squadre a soffrire in silenzio, in disparte, il Moriggi e Cristoforo, entrambi appassionati, di cuore, e divertenti, che una battuta di quelle giuste con loro mi viene sempre e da sempre. C’è Gianlauro della Lnd con la compagna, che si emozionano quando gli chiedo se posso fargli una foto, “perché, Bonfanti, non è che siamo di quelli importanti”. E ci sono le persone, bergamasche, quelle di Pagazzano e quelle di Torre de’ Roveri, così simili di fronte al pallone, con gli occhi strizzati e un centinaio di discorsi tra i gradoni per capire all’unisono se il difensore ospite abbia atterrato Piana oppure Pesenti o se quel delizioso cross per la testa di Rodigari sia davvero opera di Germani, l’ex fantasista della Real Calepina.
Altro giro, altra corsa, sono le cinque del pomeriggio e arrivo in redazione. Alla spicciolata i collaboratori, ognuno che ha voglia di raccontarmi quanto ha visto sul campo, con la vittoria del Gorle a Loreto o il pari a Brembate Sopra che, secondo loro, sono stati ben più emozionanti dell’ultima finale di Champions League. Sono vent’anni che faccio questo mestiere e sentirli parlare mi fa sempre godere. E poi ci sono gli articoli, più di cinquanta, da impaginare entro mezzanotte mettendoci la massima cura, in mezzo la pizza con lo zola e il salamino, la Coca Cola della macchinetta, Roma-Verona su Dazn con i giallorossi da gufare in chiave Europa e la scelta dei tre argomenti forti, i cavalli di battaglia che metterò in prima.
Alle due di lunedì finisce la mia domenica. E non so scegliere il momento più bello tra i tanti vissuti con la mia gente, quella del calcio, donne e uomini diversissimi e identici, che io per lavoro ho la fortuna di raccontare.
Matteo Bonfanti