Immaginateci lì.
Al Santiago Bernabéu, con più di 81.000 tifosi in festa.
E noi bergamaschi lassù in piccionaia, con gli occhi lucidi, le mani tremanti e sudate che tentano di immortalare il momento attraverso un fotogramma.
Le mani che battono all’unisono, i nostri cori colmi di entusiasmo che vengono sovrastati dal pubblico madrileno.
Sta per iniziare Real Madrid- Atalanta, ritorno degli ottavi di finale della Champion’s League.
Parte l’inno, ognuno di noi guarda il suo vicino di posto, con il petto gonfio di orgoglio, alla ricerca di uno sguardo complice che riconosci come tuo.
Poi c’è il fischio d’inizio, la gara, la sconfitta sancita dal fischio finale.
Tutte cose secondarie, statene certi.
Perché noi non siamo nati atalantini per i trofei in bacheca o per la smania di vincerli.
Noi siamo atalantini perché siamo bergamaschi.
E, ieri, anche se avrei voluto dannatamente vincere, non ho certo perso il sonno.
Il sonno lo perdo ogni volta che non posso “andare all’Atalanta “.
E non scherzo.

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