E così sono partito, uguale a come si fa alla mia età, più che altro per il ritorno, lontano lontano dal mondo per tentare di scoprire dopo tanti anni se esista ancora una mia Itaca, se ci sia almeno una Penelope che abbia voglia di aspettarmi e se Argo sia ancora lì, sul divano di casa per finire al meglio la schiuma dei nostri giorni mentre guardiamo insieme una vecchia serie alla tv.
Ho preso il primo volo da Orio, io e le luci del mattino, di nuovo a camminare nei saloni del mio aeroporto lungo le strade fabbricate dai miei occhi, per la prima volta in vita mia senza un amico o la valigia di cartone dove da ragazzo mettevo ogni cosa dentro per sentirne il profumo e non averne la malinconia in una via della periferia di Londra. Al costo di un viaggio in treno per Milano, alle nove e mezza ero ad Atene, l’altra capitale della mia terra, l’unica patria che conosco e che rivendico, il Mediterraneo, i miei colori, la mia gente, rotolando, come si fa, verso sud.
C’era un motivo, un viaggio deve averlo, erano le mie parole, perché c’è chi è straniero e vuole imparare l’italiano e le mie cento frasi addosso servono a chi ha bisogno di andare la prossima estate a Roma, a Milano, a Napoli, a Venezia o a Fano. Scrivo come parlo, parlo come scrivo e poi ci metto le stelle, le nuvole e il vento e s’impara facile se si legge qualcuno che mette anche un pezzettino del suo cuore.
In Grecia per un giorno, nel centro e poi sul mare, contando mille sassi vecchissimissimi messi in fila, accanto a persone identiche a mia mamma da giovane negli Anni Sessanta pensando a come fosse la gente di New York. “Voi italiani siete bellissimi, poetici, eleganti, colti, dolci e sensibili. Siete un popolo unico, siete avanti, siete irresistibili, siete sexy”. E non una volta, magari per caso, ma tutti, il pensiero della persona di cui ero ospite e quello degli altri per strada, persino di un ambulante innamorato di Padova, ognuno a inorgoglirmi, a battermi sul petto, “la vostra storia, la vostra cultura, la vostra moda, i vostri piatti, la vostra intelligenza, la vostra lingua che tutti noi studiamo perché è la più musicale che c’è al mondo”.
E poi rivolti a me, che non è che sia sto figo della Madonna, un simpatico, niente di che, ma che mi facevano sentire tale e quale a Brad Pitt semplicemente perché italiano. E ho pensato a noi, a noi noi, noi, la nostra piccolissima cerchia, insomma noi italiani, a cosa ci rende così splendenti agli occhi dell’Europa. E all’Acropoli, tra Zeus e Pollon, ho trovato il motivo, le nostre donne. Per me mia mamma, che oggi mi ha fatto un panino alla mortadella all’improvviso, mia nipote Anita, che mi ha baciato sulla fronte questa sera appena mi ha visto in giro, la mia prima ragazza, che mi ha preso quando ero ancora vergine coccolandomi dopo una mia prestazione di cinque secondi netti, tutte le altre in mezzo, fino all’ultima, quella che ora mi dice “ti amo e ti amerò per sempre comunque andrà, sempre e per sempre” e mi accoglie, che io, ovunque sono, non mi sento mai straniero. Siamo i masculi più fichi al mondo perché abbiamo accanto le femmine più meravigliose sul pianeta. E se vogliamo continuare a essere gli uomini più sensuali sulla Terra, dobbiamo accarezzarle e coccolarle ancora, ancora di più, di nuovo e meglio, anche quando non va bene, pure se dobbiamo chiuderla perché hanno bisogno di andare. Dolcemente. Grati. Senza fargli del male.
Ps – Detto questo, se avete bisogno di un po’ di autostima, andate ad Atene, gente super, stupenda, che studia l’italiano e che lo parla anche un sacco bene, “stessa faccia, stessa razza”, il nostro popolo, sulle rive del Mediterraneo
Matteo Bonfanti
Nella foto: io sul mare, ieri ad Atene