Che poi, se devo dirla tutto, a me la ginnastica correttiva per non crescere storti fino a lunedì sera mi è sempre stata sul cazzo. Mi ricordava il prof che mi ha seccato al Liceo Scientifico, in seconda superiore, tale Testori, invasato duro dello stretching, che non legava con me un po’ perché giocavo bene bene a pallone, disciplina che lui detestava, un altro po’ perché ero abbastanza ribellino, insomma perennemente a farmi i fatti miei quando non sparavo raffiche di cazzate per allietare i miei compagni.
Avevo la Ponziani, chi è stato al Gb Grassi di Lecco in quei tempi là conosce bene bene cosa voleva dire trovarsela in cattedra ogni mattina, matematica e fisica a settembre tranne per la reincarnazione di Einstein, perché lei, un genio dei numeri, pensava di avere tra le mani il futuro team del Cern, non quello che eravamo in realtà, un gruppo di giovani masculi manoturbatori perché pesantemente ossessionati dalle meravigliose fighette che avevamo intorno nei nostri quindici anni di ormone a mille all’ora. Io poi ero tarato, forse discalculo, comunque il peggiore di tutti, e prendevo quattro, ma solo se dichiaravo preventivamente il mio ritiro a fare l’espressione del giorno, evitando di mettermi alla lavagna. Le volte che la tentavo, facendo perdere del tempo alla classe, mi rifilava pure dei due o dei tre. Ma, va detto, sempre con un misto di rispetto e di allegria, direi con nonchalance, con garbo.
Quindi io, che all’epoca già scrivevo, soprattutto lettere d’amore che poi buttavo perché mi vergognavo di tutto quell’ardore che mi veniva di notte scomparendomi di giorno, in italiano, in storia, in latino, in filosofia, in arte e in religione ero anche bravino, non una cima, ma me la cavavo, pienamente sufficiente, tra il sei e il sette. Chiudevano il cerchio l’inglese, materia in cui ero una schiappa per via di una pronuncia a dir poco disastrosa, la biologia, abbonato al cinque e mezzo perché i piselli di Mendel non mi appassionavano manco morto (amavo solo Lamark, quello che “l’uso perfeziona l’organo e il disuso lo atrofizza”, frase che sentivo mia perché passavo tanti pomeriggi col Cattivo, l’attrezzo che ho in mezzo alle gambe da quando sono nato), e, appunto, l’educazione fisica.
E via con le ore di ginnastica correttiva per non crescere storti, mai una volta a far due tiri a pallone o un uno contro uno a tennis o una sfidona a giro in mezzo al tavolo di ping pong o una serie di cinque tiri liberi a cranio sul campo di basket. Io facevo il cretino, uno spasso, o andavo in bagno a fumare, con quell’idea che tanto il Testori non mi avrebbe dato cinque perché non l’aveva dato mai a nessuno nella sua lunga e mirabile carriera. Ma c’è sempre una prima volta e per lui sono stato io, matematica, fisica, inglese, biologia e… educazione fisica, cinque materie insufficienti sul tabellone, anno da ripetere, mia mamma in lagrime per il fallimento del suo pipino, io a distribuire le rubriche del telefono, le pagine gialle e i tuttocittà con mio babbo a Valmadrera, Oliveto Lario e Bellagio.
Ma non è questo il tema, non è la mia disgraziata adolescenza. La vicenda è il pilates. Io ho due amici sacrosanti, di quelli che sono fratelli, tra i pochi che ogni volta me la migliorano, anche obbligandomi, sempre dolcemente, a pratiche che io non farei mai e poi mai, ma che poi mi piacciono da matti. Di Ermallo ho già detto, che mi vedeva grasso grasso e si è messo a menarmela a tal punto che alla fine siamo andati a tirare di boxe, cartoni su cartoni, il dritto e il gancio, l’esatto opposto di me, che sono uno tenero tenero, ma tenerissimo come il tonno Rio Mare, e che in 44 anni ho steso un solo uomo e per sbaglio, una testata a un arbitro, ma senza fare apposta, guardavo il pallone in cielo e non vedevo il direttore di gara accanto a me. Poi il Tango è sceso giù e io ho colpito la sua crapa. Rosso giusto, ineccepibile, e cinque giornate di squalifica per il bernoccolo. Quanto al pugilato, l’abbiamo fatto per due anni, stupendo. Ci ha fermato il Covid, ma ci penso spesso e vorrei tornarci perché, come dice Ermallo, il sacco allevia qualsiasi pena.
Ma questo giro, lunedì sera a Orio al Serio, il protagonista è l’altro angelo della mia vita, il Gigi, che in questi mesi sta battendo l’illuminata via della ginnastica correttiva per non crescere storti, ora chiamata in un modo esotico, assai più figo, ossia pilates, che a me non so perché ma è una parola che dà ogni volta l’idea di essere tutti lì, cinquantasei bergamaschi, ad aspettare il primo volo per L’Avana. Messaggini come sempre di una dolcezza smisurata, sempre più convintini con l’avvicinarsi dell’appuntamento, “Ciccio, ti aspetto, dai che ci rimettiamo in forma, non bidonare…”, “Matti, un’oretta di fatica e poi andiamo a farci una magnata delle nostre dal Genio”. E io nel mio solito viaggio, trovare una scusa o affidarmi al Gigi, che tanto lo so già mi farà scappellare anche solo per la sua faccia così simpatica. “Bon, Gigione, ci sono, sono qui”, in palestra dopo due Negroni per non pensare al Testori. E via di esercizi con Claudia, l’insegnante bravissima che di cognome fa Pedretti. E via di sorrisi, battute e risate mentre scopro per la prima volta che i miei addominali e le mie ginocchia malandate stanno da dio se faccio respirare il mio corpo, non solo la mia bocca e il mio naso.
Va così, ho scelto, domani sera alle 19 e 45 affronto la mia seconda lezione di pilates e oggi mi sono preso un’ora dal lavoro per comperare da Cisalfa delle scarpe da ginnastica fighissime, addirittura della Vans, anche se non servono perché il pilates si fa in calzini. E’ stato il mio strambo modo per celebrare la mia nuova disciplina.
Matteo Bonfanti
Nella foto: io e Gigi impegnati lunedì sera nel pilates