Giovedì 3 dicembre è stata celebrata la “giornata mondiale della disabilità”, ricorrenza istituita nel 1981 dall’Assemblea Generale dell’ONU. L’obiettivo era ed è quello di favorire l’integrazione sociale di chi vive una situazione di difficoltà fisico-psichica e combattere ogni forma di discriminazione; atteso che si riconosce affetta da disabilità ben il 15% della popolazione mondiale, questa ricorrenza non può che considerarsi un importante e doveroso momento di sensibilizzazione, in vista di uno sviluppo inclusivo e sostenibile.
Il tema 2020 è “non lasciare indietro nessuno”, soprattutto chi – durante il periodo pandemico – ha aggravato diseguaglianze preesistenti, perché le numerose difficoltà logistiche hanno reso difficile l’ausilio da parte di amici e, soprattutto, gli interventi pubblici di sostegno sociale o socio sanitario.
Un richiamo al mondo della scuola è d’obbligo, attesa la famigerata didattica a distanza che, se da un lato ha reso possibile il prosieguo di parte delle attività di programma, dall’altro ha privato gli alunni con “bisogni educativi speciali” dell’importante rapporto con i docenti di riferimento. L’imperativo morale resta la volontà di perseguire il principio di sinergia, compartecipazione e il rispetto del prossimo. La giornata della disabilità sottende il valore della solidarietà.
Ecco … tutto vero e bellissimo… adesso, però, mi chiedo quanti tra noi, nonostante l’impegno profuso delle realtà associative e delle istituzioni, sia stato realmente sensibilizzato circa l’argomento!
La domanda mi è sorta spontaneamente in seguito ad un avvenimento banale vissuto oggi: all’ora di pranzo sono entrata in un supermarket per acquistare una porzione di sushi da asporto (da“ gustare” rigorosamente in auto ) ed una bottiglietta di succo al mango come accompagnamento; per non farmi mancare nulla mi sono ricordata solo all’ultimo minuto della lettiera per i gatti: solo tre prodotti che riuscivo, però, a tenere in mano a stento. Mi sono subito incamminata verso la prima cassa libera con passo svelto, ma meno veloce di una coppia di miei coetanei quarantenni che – prontamente e consciamente – mi ha dribblato anticipandomi dalla commessa con fare soddisfatto.
Ovviamente, come si confà in tali circostanze, i coniugi avevano provveduto a fare acquisti per un eventuale lockdown nazionale da zona ultra rossa…
Sapete cosa mi ha particolarmente infastidito? Che parlavano proprio della giornata della disabilità, convenendo circa la superficialità con cui a molta gente sfuggiva la problematica delle barriere architettoniche persistenti, nonché della necessità impellente di una maggior inclusione sociale.
E allora mi sovvengono due riflessioni che desidero mettervi sul tavolo in una prospettiva ben più ampia rispetto all’evento descritto.
Da un lato mi chiedo, ovviamente, se il messaggio della ricorrenza sia giunto realmente alle orecchie della gente, dall’altro, quando impareremo che non si diventa persone “migliori” parlando ad alta voce di importanti valori e principi costituzionali, bensì cercando di declinarli nel nostro vissuto quotidiano, cercando di rendere migliore la vita nostra e di chi ci sta accanto.
Buon tutto a voi.
Vanessa Bonaiti