Sospeso tra il mio doppio caffè, il giro col cane e un forte dolore al ginocchio destro, questa mattina ho letto le parole di Rosella, collega che stimo, che fa il mio stesso difficile lavoro, il direttore di un giornale locale a Bergamo ai tempi di Facebook e di Whats App. Era arrabbiata con alcuni suoi lettori, va detto pochini, che sostanzialmente le consigliavano di occuparsi d’altro piuttosto che di una colletta europea per ricostruire Notre Dame. Dicevamo, ma in un modo assai più cattivo di questo: “Rosella, nella nostra città, in questo momento, chissenefotte…”.
Avrei voluto scrivere sotto il suo pezzo la mia piena solidarietà anche perché capita pure a me di provare un immenso fastidio quando uno dei nostri lettori, il solo che lo fa, sempre lui, si accanisce contro di noi, pubblicando frasi che squalificano il mio lavoro, quello dei miei colleghi e dei nostri collaboratori. Va così, del resto con gente al governo che odia la stampa a noi cronisti succede spesso che i nostri articoli diventino bersagli mobili per i fucili dell’odio populista ora in voga in Italia, lavoratori da offendere nei peggiori modi, quando si può sul personale. Lo fanno i nostri due vicepremier quotidianamente, i bruttoni che adesso sono alla disperata ricerca di una fidanzatina per i rotocalchi nazionali, e che, nonostante tutto, sono l’esempio da seguire per il sessanta per cento degli italiani, due politici che hanno buttato nel cesso qualcosa come settanta milioni di euro per la loro propaganda contro i media. Soldi nostri per imbavagliarci. Probabilmente per via degli scheletri che hanno negli armadi di Palazzo Chigi.
Eppure non sono riuscito. Ci ho provato, ma mi si bloccava la mano, verso Bergamonews non mi usciva nessuna frase minimante solidale. Ascoltandomi nel profondo ho capito il motivo, mi sentivo più vicino ai lettori “cattivi” che a Rosella, a cui chiedo scusa per i miei pensieri.
Lunedì ho visto il rogo, ero in redazione a vedere l’Atalanta, ho cambiato canale perdendomi gli ultimi dieci minuti dell’assedio con l’Empoli. Guardavo la diretta di Sky ascoltandone le parole concitate: “Crolla l’Europa, il suo simbolo ed è un dramma paragonabile solo all’attacco alle Torri Gemelle nel 2001, da domani sarà tutto diverso, saremo soli e disperati”. E pensavo: “Non ci sono morti, è una cattedrale vecchia come il cucco, sarà ricostruita, che esagerati i colleghi di Sky, ma pure Macron e Trump. Gli incendi capitano, Roma ne ha avuti più di mille ed è ancora lì, eterna, bella come il sole”. Poi, come ogni volta, la mia testolina si è fissata su una frase, l’unica in grado di farmi fare una serie di collegamenti interessanti, l’inviato continuava a ripetere: “Signori e signori, la guglia è in pezzi, stiamo assistendo alla fine dell’identità europea”. Da lì mi era già partito qualcosa, ma non ne ho scritto, ho girato sul 251 e mi sono ascoltato Gasperini, il suo dopopartita, perché quell’uomo mi piace un sacco, riesce ogni volta a stupirmi, me lo immagino incazzato nero invece è felice come una Pasqua, penso sia soddisfatto e si presenta in sala stampa tale e quale a una furia col fuoco dentro. E’ davvero particolare, come vorrei essere io, che dietro alla maschera dell’hippie rosso e riccio sono parecchio normale, mai una volta con un’analisi che si possa dire davvero non comune, insomma figa, intrippante, originale.
Chiudo dicendovi solo le cose che sento nell’anima quando qualcuno parla di “identità europea”, non mi viene Notre Dame, mi vengono in mente accoglienza e misericordia, quelle che stanno nel Vangelo secondo Matteo, morte il giorno in cui in Italia è stato nominato Salvini ministro dell’interno. Evito, invece, di dirvi quel che penso dei quattro ruderi bruciati a Parigi, e faccio un appello a Rosella e al direttore de L’Eco, Ceresoli, che non conosco personalmente, ma che oggi ha fatto le stesse scelte giornalistiche di Bergamonews aprendo il suo giornale con una foto col fuoco a Notre Dame e diverse pagine toccanti sull’argomento. Lungi da me insegnare il lavoro a loro due, colleghi tra i più in gamba, probabilmente laureati, che stanno dirigendo con straordinario coraggio e con grande talento quel che resta dell’informazione nella nostra provincia dopo l’avvento dei social e del governo gialloverde. Eppure ho un’ideuzza, appunto l’appello detto prima: facciamo la colletta, è bello, ci mettiamo pure noi di Bergamo & Sport, ma non per la cattedrale francese, che nonostante le direttissime sta lontana lontana dagli occhi e dal cuore, e impegniamoci da oggi per i poveri cristi incarcerati al Gleno, per i barboni della Val Seriana qui al Galgario o fuori dalle banche di via Papa Giovanni, per i ragazzi che si bucano in stazione, per un mio amico clandestino a cui ho dato cinquanta euro per scappare subito da qui, appena è finito tutto, quando è stato approvato il decreto sicurezza. E se ci rimane qualcosa lo versiamo ai miei amici educatori che stanno perdendo il lavoro, ai ragazzi laureati che vivono di stage, ai musicisti che suonano gratis nei locali, ai nostri collaboratori che con l’editoria in crisi paghiamo quattro soldi.

Matteo Bonfanti