Ora io non sono uscito così bene. Ho un sacco di paure, prego ogni sera che i russi e gli americani non sparino le loro bombe atomiche contro via Santa Caterina, dove abito, tre Ave Maria, tre Padre Nostro e tre Gloria al Padre ogni notte da quarant’anni, subito dopo aver visto in tv, a sei appena compiuti, The Day After, film che non consiglio a nessun bambino. Poi ho il terrore di dormire da solo, cosa che mi ha portato nella vita a combinare disastri sentimentali in serie. Quindi, la mia angoscia più grande, il Capodanno, non sapere cosa fare e con chi andare allo scoccare della mezzanotte. Per via di una vicenda sentimentale troppo complessa e incredibilmente complicata da sembrare vera, senza posa e ai limiti del romanzo rosa, in questo trentuno ero solo, senza un perché e con le scarpe piene di sassi belli grossi, di quelli che stanno soprattutto sull’Adda, ma pure sul Serio. Avessi deciso di restare per i cazzi miei, non avrei manco festeggiato, sarei stato a casa in loop a pensarci, depressino, avanti e indietro tra la sala e le stanze, cercando una soluzione che adesso non c’è e neppure la Madonna la troverebbe se decidesse di scendere sulla Terra coi suoi poteri magici, tipo quelli che usa ogni tanto a Lourdes. La mattina sono andato a camminare sul lago e ho fatto i miei onesti ragionamentini, in primis che posso struggermi quanto voglio, ma al momento va così, e poi che, quando si è in ballo, si balla, ovviamente in compagnia, con gli amici più cari al fianco. Ho chiamato Simone, con cui eravamo d’accordo per beccarci e fare qualcosa insieme, e ho sentito Luca, che gestisce quel bellissimo, sognante e poetico ambaradan che, grazie a lui, è diventato un punto di riferimento fico fichissimo per noi artisti, il Piazzale degli Alpini, che prima era il luogo dei tossici. Ci ha trovato al volo due posti per il cenone che passione, otto portate divine, ci siamo visti Giuliano Palma, che è un big, abbiamo chiacchierato, ballato e cantato. Tra abbracci di sconosciuti e note che ci giravano intorno, ho staccato completamente la testa. Io e Simo siamo tornati a casa tardi, felici e con la pancia piena. Perché ne scrivo? Solo per rispondere a quanti fanno polemiche assurde su Luca e sul locale che gestisce meravigliosamente, Next Station, ritrovo che, secondo loro, disturba l’intera quiete pubblica, nell’assurda logica che la nostra città debba continuare a essere un triste e finale dormitorio per ricchi incazzosi. Non vogliono il sottofondo di incredibili canzoni, la programmazione fino ad ora è stata infatti straordinaria, mentre sono rinchiusi nei loro attici? Sono infastiditi dai sorrisi delle persone che passano avanti e indietro camminando lungo viale Papa Giovanni? Cambino casa e scelgano di andare a vivere sulla luna, dove regna il silenzio. Un centro europeo, tra l’altro a pochi chilometri da uno degli aeroporti più importanti in Italia, deve avere la vocazione di accogliere belli e brutti facendo festa con Manu Chao e i Modena City Ramblers, trasformando il sale in pane, perché una musica può fare, come ha fatto a me a Capodanno, come Luca fa organizzandola ogni giorno a chi ne ha bisogno e come deve continuare a fare.
Matteo Bonfanti
Nella foto: io e il grande Ottone Mesti alla presentazione del mio ultimo libro, Mirabili vite, appunto a Next Station, da Luca