di Matteo Bonfanti
Occorre perdersi in un bosco appena sopra Ponteranica, proprio lì, in quel punto tra la Maresana, le stelle e l’universo. Occorre che sia notte. Occorre sentirsi liberi, insomma senza nessuno a casa che ti aspetta e ti sospetta. Occorre la luce della luna, lieve perché è ancora inverno. Occorre che prima ci sia stato il sole, che abbia lasciato nell’aria la sua traccia di foglie ingiallite. Occorre che il mio cellulare sia spento, scarico, morto. Occorre Zeno, il mio secondogenito, felice mentre camminiamo perché c’è quel profumo che ha il freddo di montagna, dolce, lo stesso delle favole, le mie, Hansel e Gretel o il Piccolo Principe. Zeno mi dà la mano e mi racconta che un giorno lontano lontano nel mondo diventerà un campione degli scacchi. Me lo immagino, grande, altone come mio papà, i capelli lunghi e castani, una vecchia canzone tra le labbra, quel suo modo leggero, identico a un brano dei Red Hot, The Zephyr Song, che vorrei fosse il sottofondo di questo articolo.
Occorre Ciavi, il nostro cagnetto, piccolo e brutto, sfigato, storpio, che nessuno vuole, tranne me. Me ne sono innamorato per questo e lui mi sta aggrappato come un’edera incollata alle cascine della Brianza, il posto dell’anima mia, l’unico luogo dove un giorno tornerò. Ciavi pare una foglia tremante mentre uno stupendo cane di razza gli abbaia contro, lo difendo, mi sento forte, proteggerlo mi fa stare bene. Occorre Vinicio, un ragazzo, il mio bimbo ormai adolescente, forte, fighissimo, lucente, ironico e sorridente, in fuga come si è a undici anni, uguale a me in certe primavere ribelli di tre decenni fa. Vinicio sta avanti a noi cento passi, poi si ferma, ci mette in posa, ci dice “siete stupendi” e ci fa una foto un sacco orizzontale. Ci abbaglia col flash del suo iPhone5S, e siamo mostruosi, io uguale a ET, l’extraterrestre rugoso di Spielberg, Zen con gli occhi rossi che pare un piccolo e feroce diavolo, Ciavi sta girato, all’incontrario mentre tenta di mordermi per la troppa fame. E Vini ride, di gusto, ha più di duecento followers su Instagram, e allora ci fa un’altra fotografia, poi un’altra ancora, diventano una serie e ci prestiamo nonostante sia ogni volta una fatica boia. E’ lì, in quell’attimo, che sento che occorre fermarmi, abbracciarli, sentire i loro corpi su di me, la consistenza della felicità che dà avere due figli e un cane. Sono ancora i miei cuccioli, ma mi è restato pochissimo tempo. Stringerli a me per fermarlo. Occorre, è malinconico e bellissimo, una tenera fitta al cuore. Ma occorre.
Occorrono le tre pizze sfigate di Linda, portate direttamente a casa appena tornati dalla nostra avventura tra le colline della Bergamasca. Ce le porta un vecchio, probabilmente qualcuno che ha perso il lavoro nel nostro Far West, la tristissima Val Seriana. Sono una margherita, la mia quattro formaggi, la salamino piccante che vuole Zeno. L’anziano ci regala una Morettona, la birra dei boliviani, da sessantasei. Ha lo sguardo disperato. Mi dice “sono diciassette euro”, gliene do venticinque, quello che ho nel portafoglio, monete comprese, lo guardo e gli faccio un cenno “ohi, il resto è per te, beviteli, serve”. Occorre vederlo sorridere. Occorre far capire ai miei figli di non dimenticarsi mai degli altri, gli sconosciuti, i sommersi, gli sfigati, i calpestati. Occorre mettere in testa ai Bonfantini che si sta davvero bene solo quando tutti al mondo hanno in tasca tre soldi per far festa.
Occorre il Risiko, che è una noia mortale, un gioco assurdo come è la guerra. Occorre incasinarsi sui carrarmatini, metterli a caso quando capita, toglierli, tanto chissenefotte, che poi le migliori battaglie sono quelle che ho deciso di perdere in partenza. Casualità Vinicio ha come obiettivo quello di distruggere le armate verdi, che sono quelle di Zeno, che s’incazza di brutto. Dopo una seria infinita di risse, li convinco a metterci davanti alla tv.
Partiamo con la Play, ci mettiamo su Fifa, Zen è la Juve, io il Milan, mancano una decina di minuti e sono sul 2-1, gol di Marchisio, un giocatore che mi piaceva, quantità e qualità, ma manco so se esiste ancora, pari di Bonaventura, vantaggio grazie a un gran gol di Kalinic. E’ un attimo e il gioco si blocca. C’è un tasto, io lo ignoro, Zen, invece, lo conosce benissimo. Occorre che Zeno mi chieda di fargli il latte tiepidino, come glielo fa sua mamma che stasera non c’è e manca, nell’aria, tutt’intorno, più di tutto il suo corpo sinuoso a disegnare il nostro appartamento. Vado in cucina, nel frattempo lui ne segna tre, doppietta di Dybala, l’ultima è una prodezza di Higuain. Occorre. Occorre che un padre non vinca mai contro il proprio figlio.
Occorre Scottecs, la saga di un genio, tale Sio, che m’immagino veronese e più o meno della mia età. E’ l’idolo di Vinicio e Zeno, ora pure il mio, fa ridere in quel modo totale perché fa dei passi logici imprevedibili simili ai miei quando sono su un palco con la chitarra e con le mie canzoni soffuse e ridicole, finalmente a mio agio, o come quando il martedì sera sono al campo a sette di Orio, li dribblo tutti, mi rompono le balle di passarla, io non la mollo mai, arrivo in porta, segno, mi sento Cristiano Ronaldo, esulto tre minuti, s’incazzano, godo. Occorre che io, Zeno e Vinicio ci mettiamo a ripetere le battute di Scottecs, a squarciagola “Obama”. Occorre che dopo ci parta l’esaltazione, distesi sul divano, uno sopra l’altro, occorre aver addosso la follia che viene a noi uomini prima di infilarci a letto. Ci si mena, ci si fa il solletico, ci si sente uomini, dementi perché liberi, con un sacco di ormoni intorno. Occorre. Poi ci sono, in ordine di apparizione, la pisciata collettiva, gli spazzolini, i nostri tre pigiami a righe. Occorre.
Occorre il Che, raccontato ai miei figli in modo onesto e meraviglioso prima che chiudano gli occhi, senza il revisionismo fascistoide dei comici che si apprestano a comandare l’Italia dopodomani. La biografia di Ernesto Che Guevara è la storia di un ragazzo bello, ricco e laureato in medicina, che molla tutto per dar vita a un mondo migliore e che per farlo si mette pure a sparare, la cosa che odia di più. Occorre che Grillo e Di Maio ne leggano i pensieri, sono in un libretto, si chiama “I diari della motocicletta”, possono farcela anche loro. Occorre.
Occorre lei, il suo messaggio su what’s app, mi scrive: “Tesoro, sto arrivando”. Lo leggo, sorrido, mi metto sul divano. Occorre anche la felicità dell’attesa.