di Matteo Bonfanti
Passato il dolore, resta l’amarezza di vedere chiuso un posto che ci ha coccolato per più di dieci anni ogni maledetta domenica notte. Mandata in stampa la prima pagina, messa su facebook, ascoltate una decina di canzoni depressive dei favolosi anni sessanta, io e Marco iniziavamo a pressarci vicendevolmente per andare da Gigione. “Maguire’s?”. “Dai”. “Si va?”. “Dom”. E restavamo in ufficio un’altra mezzoretta, nel totale cazzeggio, perché tanto Sergio, il nostro barista preferito, sapeva e ci aspettava. Alle due, quando non c’era più niente da leggere e nessuno con cui chattare, si partiva. Ed era un vero e proprio rito, consumato sempre in modo identico, seduti allo stesso tavolo a guardare un menù conosciuto a memoria finché non arrivava Sergio da dietro il bancone. Quattro insulti rivolti alla nostra classe politica, in particolare all’ex presidente Napolitano, e poi via a elencarci le proposte della lavagnetta. E alla fine cosa darci da mangiare e da bere lo decideva lui. Che noi partivamo dalla redazione con in testa l’idea di una pizza tranquilla (non la famigerata Bomba) e di una birretta tedesca leggera leggera per non svegliarci tramortiti il lunedì e, invece, finivamo ciocchi stinchi e con le facce in due piatti di riso zeppi di formaggi bergamaschi e di salsicce.
Manca. E domenica, finito l’ultimo nostro numero con tutti i campionati del calcio provinciale, non sapevamo dove andare. Ci siamo organizzati, ci siamo portati quattro Ceres, due a testa, da casa, comperate il giorno prima all’Esselunga. E siamo stati a bercele in redazione. Avrei voluto chiamare Sergio, chiedergli come gli stava andando, se aveva trovato un altro posto, cosa sentiva in fondo al cuore passando da via Previtali. Io ho cambiato strada, faccio il giro alto, la evito, mi mette troppa malinconia vedere il Maguire’s ridotto così, in cenere, che sembra sia stato bombardato dai nazisti durante la seconda guerra mondiale.
Quando è successo il casino non ci pensavo. Andavo là a vedere il disastro, i danni dell’incendio, come tutti cercavo di capire i pensieri di Gigi, inimmaginabili per me che ci chiacchieravo concordando che i problemi dell’Italia fossero strettamente legati alla diffusa illegalità in qualsiasi ambito, innanzitutto nella politica, ma anche tra gli imprenditori, nei sindacati, persino tra noi giornalisti che spesso ci vendiamo al miglior offerente. Adesso il mio sentimento è cambiato, da curioso sono passato a orfano. Perché alle tre del mattino a me e a Marco non ci prende a mangiare nessuno, manco il kebabbaro pakistano che una volta ci ha detto che il suo paese ha la bomba atomica, di pensarci bene e di non fare troppo i gradassi. C’è il rischio che ce la sparino addosso, quindi se li vediamo in chiusura non ci azzardiamo a domandargli due crocchette con le patate. Non si sa mai.
Passerà la tristezza, non del tutto, resterà in sottofondo ogni maledetta domenica notte. All’una e trentacinque circa.