Pensano mai, quando dividono il Paese in zone rosse, gialle e arancioni, ai nostri ragazzi? Chi sta al governo si ricorda di quando aveva quindici anni? Ai nostri deputati e senatori gli capita mai di ripensare agli intensi sguardi che avevano in prima liceo durante l’intervallo, prima di trovare il coraggio di parlare alla propria bella, che stava nella sezione al piano superiore? Vivevano anche loro per quel momento? Premier, ministri e sottosegretari sono stati mai invitati dalla più carina della scuola a ballare avvinghiati l’intero cd di Bryan Adams, “Please forgive me”, in una cantina che d’improvviso si trasformava nella discoteca più bella al mondo? C’è stato un tempo nelle loro vite che prendevano la via dei campi per raccontare il loro cuore ai loro cinque soci più cari tra una sigaretta e l’altra? Hanno fatto almeno una volta nella loro vita la borsa del calcio con mille brividini sulle braccia perché c’era da giocare la sfida del secolo contro la squadra dell’oratorio vicino?
Venerdì sera ero sul mio divano rosso fuoco e guardavo i miei due gioielli, Vinicio e Zeno, due santi adolescentini ai tempi del lockdown, reduci dal duecentesimo giorno di didattica a distanza, che gli stropiccia gli occhi e credo tanto anche l’anima. Chiusi in casa per decreto, ormai da un anno fissi nel nostro piccolo appartamento, anche per via dell’ansia delle parole tutte intorno, stavano a fare la gara di bolle con Stephan e Diego, i loro migliori amici. Sul tavolo della sala, davanti a quattro bicchieri colmi d’acqua, ognuno con la propria cannuccia di plastica, soffiavano fino a diventare tutti paonazzi, con la faccia rossa rossa, ridendo come matti. Per un momento felici, nel nulla di questo tempo, che, soprattutto per loro, è sempre sospeso aspettando qualcosa, con le emozioni della loro età negate, i migliori anni della loro vita ridotti ad ore e ore su Zoom, su Tik Tok o su WhatsApp.
Ho letto che al Sarpi e al Mascheroni gli studenti hanno iniziato la protesta. Stanno in cortile, distanziati, ma non rinunciano più al bisogno di incontrarsi e di guardarsi dal vivo, non su un computer o su un telefonino. Perché la scuola, così come il calcio o qualsiasi altro sport, è questo, è non sentirsi soli. Non sono un virologo e neppure un politico, ignoro se sia come dicono, che a far tornare Vinicio e Zeno sui banchi di scuola o su un campo di pallone si crei improvvisamente un’altra strage, ma so che la loro libertà serve tanto quanto a noi grandi occorre superare al più presto questa infinita crisi sanitaria. I loro anni più belli hanno lo stesso valore della nostra salute. E tutti dobbiamo metterci a pensare a come si può fare per farglieli vivere come li abbiamo vissuti noi.
Matteo Bonfanti
Nel disegno di Vittoria Bertani: io, Vinicio e Zeno liberi su un prato