Che rush finale sia. L’Atalanta ha divorziato da Gian Piero Gasperini su scelta di quest’ultimo, ma alla sua eredità tecnico-tattica-spirituale ha deciso di non rinunciare. Ed è per questo che il casting per la successione su una panchina che scotta dopo un novennio di pura gloria s’è ridotto a un ballottaggio a tre, come nel secondo turno delle elezioni in Francia. In lizza, dopo il taglio d’ali Stefano Pioli-Maurizio Sarri, leggi anagrafe che incombe (+60), legame non sciolto con l’Al-Nasr (il primo) e discorso tattico troppo rivoluzionario del valdarnese accasatosi alla Lazio, sono rimasti Raffaele Palladino, dimessosi dalla Fiorentina (Genoa e Monza da senior) una volta appreso della separazione in atto a Zingonia, Thiago Motta e Ivan Juric.

Tutti e tre hanno avuto il Gasp da mister, rispettivamente al Genoa i primi due e il croato, il più anziano del lotto coi suoi 50 anni (il mugnanese va per i 41, l’italobrasiliano 43), dapprima al Crotone prima di fargli da vice allenatore a più riprese, anche al Palermo. Tre allievi per non uscire dal solco di un’eredità tecnico-tattica che in realtà si discosterebbe dall’originale solo in Motta, fedele al 42-3-1 da costruzione dal basso avviluppando l’avversario dopo averlo indotto a scoprirsi. 

L’intenzione della dirigenza atalantina, chiamata a estrarre un bussolotto dall’urna entro fine settimana, non è per forza riprodurre in toto il modulo gasperiniano. L’importante è non deviare dalla retta via, ovvero calcio offensivo, propositivo, verticale, box to box e chi più ne ha più ne metta. Va anche detto che il vatreno classe 1975, lasciato a piedi la scorsa stagione dalla Roma e dal Southampton senza essere riuscito a salvarlo dalla retrocessione in Championship, conosce il direttore sportivo Tony D’Amico dai tempi di Verona dove fece due grandi stagioni.

Dalle scelte è stato escluso Igor Tudor, più o meno nella stessa situazione di Juric sul piano tattico-relazionale ma col difetto di essere avviluppato dal prolungamento automatico del contratto con la Juventus scattato con la qualificazione in extremis alla Champions League. Il nuovo nome è davvero vicinissimo: la Dea ha dovuto voltare pagina in tempi ristretti dopo essere stata colta di sorpresa dall’artefice della trasformazione della regina delle provinciali in big in pianta stabile. Oggi, intanto, si festeggia il quindicesimo anniversario dell’acquisizione del club da parte di Antonio Percassi, che rilevò la maggioranza azionaria dalla famiglia Ruggeri tornando alla presidenza dopo lo stesso ruolo di minoranza a nome di Miro Radici tra estate 1990 e febbraio 1994.
Si.Fo.