Sono figlio di una professoressa, la Campagni, e di un maestro, il maestromarco (tutto attaccato per chi è di Lecco e dintorni), due che alla scuola hanno dato gran parte della vita, viaggi e miraggi, sogni e soldi, risorse, ore e ore, pomeriggi infiniti, consigli di classe e d’istituto, spesso notti di pensieri, portandosi ogni cosa a casa, persino i bambini e i ragazzi, ma non è questo che mi fa scrivere queste poche righe bagnate dalla brina d’inizio dicembre a Bergamo.
Io la famiglia nel bosco l’ho conosciuta, da principio come un esempio per tutti noi, gente nata in quella striscia infinitesimale che sta tra il lago e la montagna, che corre per prendere i grilli, per avere tra le mani le lucciole, che nuota nella corrente tracciata dagli agoni e le alborelle. Poi l’abbiamo vista sgretolarsi, piano piano, fino a dissolversi dentro a una tragedia che ancora oggi a pensarci ci fa male al cuore, quella di Ivan “Magoo” Sirtori, psicologo e musicista, i cui resti sono stati trovati sul Monte San Genesio appena due anni fa. Quale l’errore ora e allora? La scuola. Farla a casa.
Il giornalista che sono, lo scrittore che mi dicono di essere, il cantautore che mi è piaciuto immaginarmi da giovane, il sorriso che ho, la leggerezza del mio sguardo, cinque dei miei dieci amici più cari, l’amore che mi ha reso grande, forte e controvento, i libri che ho letto, i dischi che ho ascoltato, mille e passa baci che ho dato, le botte che ho preso, sono racchiusi in quel viaggio unico, periglioso e meraviglioso che è la scuola ad ogni suo livello, dal nido all’università. Non la mia istruzione, non solo, ma quel trovarsi alle otto in un gruppo eterogeneo, libero e complesso a fare e a disfare, a inventare, a scoprire, a menarsela, ad annoiarsi o a esaltarsi, scoprendosi tutti uguali, reiventandosi di continuo nelle medesime miserie, dividendole tra di noi, nei progetti irrealizzabili, nelle scoperte incredibili, coi docenti, che in Italia sono tanta roba, più spesso coi propri compagni, compagni di viaggio, insomma in tanti, cento teste col mattino che ha l’oro in bocca (non sempre, va detto, non sempre per me che sono un gufo).
Al netto che ogni scelta di vita è lecita, se non nuoce ad altre persone, a me la famiglia nel bosco non piace perché ha genitori drammaticamente concentrati su sé stessi, che evitano di mandare a scuola i propri figli, di fatto manipolandoli, magari senza volerlo, comunque evitandogli il confronto con chi vive esperienze e conoscenze diverse, sbarrandogli la sola via che conosco alla cultura e all’integrazione. La scuola. La cultura. L’integrazione. La scuola è cultura e integrazione. E forse è proprio per questo che la famiglia nel bosco piace a chi oggi ci comanda (e che evita di raccontarci della perdita del potere d’acquisto degli italiani, il venti per cento in meno da quando stanno loro lì al governo).
Matteo Bonfanti