marcomelisdi Marco Melis
L’amico Evro mi chiede di partecipare all’iniziativa di Bergamo & Sport sul tema “Perché si scrive?” a cui, lui, ha già dato un contributo.
Nel suo articolo egli si definisce un ritrattista di piazza che predilige, come soggetti, le persone comuni ai ricchi e potenti. Capisco il suo senso sociale, ma, al tempo stesso, sono anche convinto che l’universo umano offra una così vasta gamma di personalità, ognuna a suo modo interessante, da essere un peccato fare selezioni: ogni vita meriterebbe di essere raccontata! A chi scrive spetta solo il compito di ritrarre storie e personaggi, non di giudicare, nemmeno quando fa il ritratto del boia.

Mi accorgo di essermi già inoltrato nell’argomento, per me ricco di fascino, perché si scrive?
Dovrebbe essere la domanda più semplice da rivolgere a chi possiede dimestichezza con le parole: del resto, vuoi che uno scrittore non sappia perché passa del tempo a inventare storie?
In realtà non è proprio così. Le motivazioni sono molteplici come i fili di una ragnatela: alcune evidenti, altre appena accennate, da far quasi dubitare della loro esistenza, da richiedere per la loro individuazione un’analisi scrupolosa.
Sfatiamo subito ciò che a volte si sente dire: scrivo per me stesso. Non è vero!
Si scrive per gli altri, affinché gli altri ci leggano, gli altri ci conoscano. Estremizzando, direi che chi scrive è a caccia di applausi, altrimenti si accontenterebbe di riempire di parole un diario segreto, salvo poi, “sbadatamente”, dimenticarlo bene in vista.
E’ pure evidente che scrivere deve dare piacere: fare ordine nei pensieri e trovare le parole per esprimerli; rendere armoniose e accattivanti, come musica, le loro combinazioni; depositare testimonianze di fantasia su pagine bianche; essere padrone e artefice di “nuove” vite, che inesorabilmente si legano alla tua. Quale fortuna!
Io ho sempre scritto, fin da quando, adolescente, dedicavo poesie alle ragazzine, in verità con scarsi risultati. Ho continuato poi con i lunghissimi temi della scuola; con le lettere che, nell’anno del militare, scrivevo a sconosciute fidanzate di commilitoni non avvezzi a foglie penna; con i block notes straripanti di drammi esistenziali tipici dell’età giovanile. Lavori, il più delle volte ingenui e di poca qualità, ma segnali d’una passione.
Con il tempo s’impara a essere più severi con noi stessi, a non lasciarsi ingolosire dalla preda facile, dalla bella frase o dalla parola altisonante. S’impara a operare continuamente un lavoro di pulizia per andare alla sostanza, con il coraggio di cestinare ciò che ai nostri occhi non è più che perfetto. Si conoscono così la fatica e il sacrificio, a volte la delusione, ma è l’unica maniera per avvicinarsi allo scrivere bene, se questa, con presunzione, è la nostra meta.
Ma alla domanda “perché si scrive?” in primo luogo direi, al di là della naturale predisposizione, che scrivere risponde all’esigenza della comunicazione. L’uomo non avrebbe certo inventato le lettere o gli ideogrammi se non avesse voluto concretizzare il suo messaggio verbale, dargli una forma trasmissibile e condivisibile, se non avesse voluto dare alla sua informazione, se non l’eternità, quanto meno la certezza del momento. Infatti i latini avevano coniato l’espressione che ancora oggi spesso noi utilizziamo: verba volant, scripta manent.
Per quanto mi riguarda, se avessi posseduto il dono di una parlata sicura, fluida, capace di catturare l’attenzione, forse non mi sarei messo a scrivere.
Purtroppo la comunicazione verbale rimane un aspetto ostico dei nostri giorni: senza arrivare agli eccessi della televisione, dove gli schiamazzi vengono spacciati per dibattiti, le difficoltà sono presenti anche nel quotidiano: c’è il tempo che non permette di approfondire o di valutare con calma; ci sono le certezze inamovibili di qualcuno e i preconcetti di altri; ci sono i toni subito aggressivi e la prosopopea di chi vanta, e spesso millanta, supposte superiorità culturali.
Le discussioni propendono facilmente al monologo, con scarsa attenzione al prossimo, alle sue idee e alle sue proposte. Discussioni che lasciano invariabilmente insoddisfatti.
Se poi, come me, una persona è timida o non possiede la prontezza della risposta, è maggiormente svantaggiata: può capitargli che solo a discussione finita, magari nella solitudine del proprio letto, riesca a individuare le parole che avrebbero chiarito meglio il proprio punto di vista. Oppure, sempre per timidezza, può succedere non abbia il coraggio di esprimere la propria opinione ( ricordo ancora l’episodio successomi tanti anni fa ad un cineforum, quando sarei voluto intervenire ponendo una domanda che per timidezza trattenni, salvo poi sentire la stessa domanda formulata da un altro spettatore, il quale ottenne anche i complimenti per il quesito ).

Allora, lo scrivere per me è diventato nel tempo un escamotage per ovviare a queste situazioni. In solitudine, senza condizionamenti, si è trasformato nella maniera per dire, con voce pacata, io sono questo, anche questo. Capisco che questa soluzione possa apparire come una fuga, e forse lo è, ma non siamo un po’ tutti in fuga da qualcosa?
Rivolgersi agli altri significa però andare loro incontro, significa lanciare un ponte sulle differenze ed essere punto di congiunzione è da sempre una delle mie massime aspirazioni. Lo scrivere è uno spostamento, un viaggio che, mediante personaggi, ambientazioni, dialoghi, mi conduce verso i lettori. L’augurio è che ciò si traduca in un beneficio comune. Per questo nei libri che ho scritto ho inserito la mia mail, perché con la fine del libro non ritengo esaurito il dialogo col lettore, il mio interlocutore del momento.

Vorrei concludere affiancando all’immagine del ritrattista proposta dall’amico Evro quella di un cruciverba. Immagino che i libri, tutti i libri scritti, possano concorrere alla risoluzione di un grande schema, per arrivare, con la loro giusta collocazione, all’ideale “libro dei libri”, quello che anche inconsciamente ricerca l’accanito lettore. Ogni scritto col proprio contributo: una frase, una considerazione, una metafora, un augurio di relazioni. Tasselli che diano una risposta alle nostre eterne domande.

MARCO MELIS, ECCO I LIBRI PUBBLICATI
ANNO   2009         TRACCE
ANNO   2010         STATALE 195
ANNO   2011         BIGLIETTO, PREGO
ANNO   2013         NON VOLLI DIRTI NULLA
ANNO   2013         NATALE A LUCI ROSSE