Non è che la passione per il pallone si debba sempre tagliare per forza col coltello. Pure a queste latitudini, sota la sender brasca. Per il barbecue da tifo, rivolgersi allo Stadion Maksimir, please. Girellando per Zagabria, zero tensione e atmosfera Champions a livello dei binari del tram. L’unica vera differenza con Bergamo, quest’ultima, perché dalle nostre parti ce l’hanno levato di torno quando i nostri nonni avevano appena finito di sfornare figli. Le due città, rivali sul campo, a visitarle paiono proprio uguali. Oddio, diciamo simili.

Sarà che tutto il mondo è paese. La Città dei Mille non è certo una capitale come quella che ne ospita la più famosa e chiacchierata espressione sportiva. Ma entrambe ne hanno una Alta e una Bassa. Perfino qui esiste la funicolare, anche se unica, orfana della San Vigilio locale che del resto non ha un Colle omologo da raggiungere evitando le scarpinate. Questa è la più corta della galassia, 66 metri. Il mercato con la ressa delle massaie, armate di trolley che ti rullano sulle scarpe, e le mercatanti che si fanno concorrenza sui prezzi guardando la rivale in cagnesco. Uguale. 

I negozietti di simil artigianato locale. La serie di polo a scollo pattone spacciate per esclusive “ricamata a mano”, che non la indosserebbe manco la prozia. Fotocopia. Come ricalcare il posto dove vivi con la carta carbone. Anche da queste parti si staglia all’orizzonte del passante e del turista occasionale un centro carino, tra edifici storici e altri rimessi a nuovo o moderni tout-court. Da noi si erge la statua di Giuseppe Garibaldi, qui quella equestre di Josip Jelacic. Ognuno ha il proprio eroe nazionale da celebrare. La cattedrale qui è gotica ed è dedicata a Santo Stefano. Ma le differenze, davvero minime, finiscono qui.

Mettiamoci, toh, anche le fogge architettoniche degli edifici, tenendo conto che qui, l’est Europa più vicino che si può, si sono sovrapposte varie dominazioni, dai romani con l’Illirico (Provincia e/o Prefettura, chi se lo ricorda…) agli ungheresi all’Impero Austroungarico. Il Belvedere c’è anche qui. E ancora, le periferie che si commentano da sole, in contrasto stridente con tutto il resto.

L’euro, ecco, non adottato, e col cambio ti fregano sugli spicci, roba da lasciare il caffè sospeso al Bar moltiplicato per tre. Analogie e omologie si trovano il passo sbarrato dalla dannata moneta unica. Un dramma residuale. Alla fine chi vive di pane e calcio, ovunque si sposti, ritrova i colori e i sapori di casa. Quasi. Perché isterismi, ubbie da leadership terra terra da turismo da branco, rivalità di sangue e di lavoro, per fortuna, ce le siamo saggiamente lasciate Bergamo. Guai ai Filini e ai Calboni che sopravvivono ai Fantozzi.

Simone Fornoni