Tre cose soprattutto, prega, gioca e ama il prossimo tuo come te stesso. Poi tante altre, la prima è quella che un giorno mi ha fatto diventare comunista. Diceva Padre Marco, rosso rosso di capelli e bravissimo a pallone, l’idolo dei miei undici anni: “Matteo, qui dentro siamo tutti uguali. Non esistono i ricchi ma manco i poveri. Vieni senza il borsellino e il croccantino all’amarena te lo regalo io”.
Era la metà degli anni Ottanta e io ero un bimbetto buono buono. Finivo scuola e andavo lì, all’oratorio dei frati cappuccini, protetto da quelle mura che io vedevo bellissime. Partivo in bicicletta con la mia Bmx, un po’ sfigata perché era dell’Atala. Abitavo in via Boccaccio, facevo via Ca’ Rossa in un minuto, in trenta secondi il pezzettino di vial Turati ed entravo in quel cancello sempre aperto, anche alle dieci di notte, tardi tardissimo, che allora i bambini dovevano andare a letto subito dopo la cena. Trovavo Marco e Mau, il Gando, il Negro e il Pule, “giochiamo in pista, tre contro tre. Se arrivano Fabio o il Mace, ne mettiamo uno in porta e ci scartiamo”.
Prega, gioca e ama il prossimo tuo come te stesso. E pure la tua prossima, anche per non diventare cieco dopo averla pensata eccessivamente, rinchiuso a chiave dentro il bagno di casa. Cosi lì, ai Frati, ho dato il mio primo bacio in bocca lungo lungo a una ragazza, senza staccarmi a un certo punto.
Avanti con mille altre cose, che sono state per me importanti. Lì ho cantato la mia prima canzone suonando la chitarra di mio zio Sandro, niente di che, quattro accordi imparati da Ciano, ma sentendomi quasi un mezzo dio. Lì ho fumato la mia prima canna, sulla collinetta, per scoprire che l’erba non mi fa male e non fa male a nessuno. Lì per la prima volta mi sono sentito uguale a tutti gli altri e a tutti gli altri uguale, io, il figlio di due insegnanti, identico per la zazza e per i pensieri ai terroni delle case rosse. Lì ogni volta in pari facendo sera giocando a pallone, nella speranza di un mondo migliore, che almeno serva a farci ridere, che è l’obiettivo principale.
Oggi ho letto sul Corriere che il mio oratorio è chiuso, serrato fino a data da destinarsi. La scelta per via delle risse continue tra le baby gang che spopolano nella Lecco City, bande di ragazzini che vanno lì a menarsi. E io per tutto il giorno ho navigato nei miei ricordi, opposti alle immagini di questo miserabile presente. Per me l’oratorio dei Frati era il luogo dell’amore, dove l’ho imparato e mi sono convinto fosse l’unica via per stare bene bene col mio cuore. Mai dell’odio.
Matteo Bonfanti
Nella foto: il cancello sbarrato, foto del Corriere