Eh no, tanti non lo sanno. E come potrebbero saperlo dico io. Anche in questo caso vige la regola che “bisogna provare per credere”, non fa’ eccezione. Ogni persona che trasportiamo noi dell’Atb dovrebbe almeno una volta provare a guidare un autobus, mettersi al volante e sentire le nostre stesse emozioni, le paure, i colpi al cuore che a volte ci capitano. Solo allora comprenderebbero il motivo per cui svoltiamo così larghi in curva, perché facciamo una certa manovra, perché apriamo solo una delle porte a soffietto e non tutte o propriamente quella dove tu, utente, ti sei piazzato per salire, eccetera eccetera. Potrei citarne a milioni di episodi ma ne scelgo uno.
Voglio parlare del giorno in cui stavo risalendo via San Bernardino, nello specifico l’ultimo tratto, quella parte stretta che porta a piazza Pontida. Chi vive a Bergamo sa perfettamente di cosa sto parlando ma non tutti quelli che leggeranno questo articolo potranno comprenderlo a fondo perché, per l’appunto, non hanno provato a percorrerla alla guida di un pullman. Per aiutare la comprensione basti dire solamente che lo spazio da entrambe i lati arriva a venti centimetri scarsi e, se l’automobilista di turno ha parcheggiato alla “non me ne fotte una mazza del prossimo”, talvolta lo spazio diventa anche meno. Ma torniamo a quel giorno: ricordo chiaramente che ero quasi giunto all’uscita della via, vedevo la fine, il semaforo in fondo era sempre più vicino quando a un tratto, un anziano signore su una lussuosa Mercedes parcheggiata dove non c’è parcheggio (ops che strano) apre la porta dell’auto per scendere. Io rallento bruscamente, lui vede l’autobus, si spaventa e richiude ma senza ritrarre le gambe schiacciandosi entrambe gli stinchi, al che riapre di colpo ed io sono costretto ad agire con forza sul pedale del freno arrestando il bus. Mentre ho le mani giunte e le agito mimandogli l’usuale gesto interpretabile con “ma che c….aspita stai facendo?!”, sento provenire da dietro la voce di una signora che, in tono sgarbato, dice “eh che cazzo, non siamo mica dei sacchi di patate”, dopodiché si alza un chiacchiericcio fatto di commenti che le danno più o meno ragione. Intanto il vecchio della lussuosa Mercedes si scusa facendomi capire che non aveva guardato lo specchietto retrovisore prima di scendere; io faccio un ghigno che significa “era evidente” ma non mi dilungo sul fatto che lì dove s’è piazzato non esista parcheggio. Voglio solo spostarmi il prima possibile perché blocco la via. Lui perciò risale in auto avendo cura stavolta di ritrarre entrambe gli stinchi, chiude ed io, accolte le scuse, passo oltre ma in quell’attimo, pochi metri più avanti, scatta il semaforo rosso. Mi fermo e subito penso: adesso che faccio? Sto zitto come spesso decido per evitare inutili discussioni? Risposta negativa. Gli zebedei vorticavano troppo velocemente per lasciar perdere siccome l’adrenalina per lo spavento era ancora in circolo.
-Prima di parlare ha visto il motivo della brusca frenata?!- sbraito voltandomi verso il retro del mezzo, togliendo gli occhiali, dando perciò maggior valenza al mio sbotto
-Ha visto quel vecchio che mi ha spalancato la porta all’ultimo secondo?!- ribadisco cercando di capire chi sia la responsabile del commento. Sul pullman ci sono più d’una trentina di persone ma nessuno parla. Molti, volutamente, nemmeno mi stanno guardando e con tutta probabilità anche lei: quella femmina codarda!
-E allora veda di non blaterare invano!- concludo sparando nel mucchio.
Mi volto, mi risiedo, rinfilo gli occhiali e in quel frangente, secondo calcoli temporali ormai entrati a far parte dell’istinto, il semaforo diventa verde. Riparto e volto immediatamente a destra in via Zambonate dove c’è subito una fermata. Apro le porte ma sento che il vortice generato dallo spavento sommato all’offesa non si è ancora placato e mi trovo a ripetere a voce alta le parole “sacchi di patate”, sminuendo l’affermazione con uno sbuffo. Molti scendono e probabilmente anche il demone femminile, penso, quindi mi placo, non dico più niente e vado dissipando l’adrenalina residua in un’allocuzione immaginaria durata nella mia testa fino a… non ricordo fin dove ma assicuro per molto, molto tempo. In definitiva, come già scritto in un altro articolo, sì, è vero, noi autisti abbiamo tante pecche ma chiedo maggiore comprensione per l’omino che sta alla guida dell’autobus, per quell’essere umano là davanti che non è parte integrante del pullman come tanti credono, ma ha dei sentimenti che ogni giorno deve cercare di dominare per la sua e, soprattutto, la vostra sicurezza.
Marcus Joseph Bax