Ora io ho una mamma, Valeria, che è la migliore del mondo e non lo dico solo io, che sono di parte perché in combutta con mio padre mi ha dato la vita, il sole, la luna, le frittelle, i sogni e ogni parola che ci gira intorno. Per tutti, dico donne, uomini, bambini, cani e gatti, la Vale è un essere speciale, una meravigliosa ragazza magica, generosa, riccia e rossa, che canta Bella Ciao mentre coi suoi nipotini fa le lasagne e i tortellini, piatti che così non li trovi manco nel miglior ristorante di Bologna, anzi di Sant’Agata, il posto dove è nata, un bellissimo quarto dell’anima mia.
Bene, o meglio male, o meglio ancora malissimo. Canto le lodi di Valeria non perché sia il suo compleanno, che è appena passato, venuta al mondo il 29 aprile del 1951 sotto il segno del toro, ma perché sono in profonda crisi con lei, la più pesante da quando, ormai una decina d’anni fa, ho avvertito che da adolescente ero diventato un ometto. Il motivo della mia incazzatura con la Vale è presto detto, la sua arte culinaria sfoggiata con me mentre sto facendo degli sforzi inenarrabili per presentarmi in modo decente all’appuntamento agostano con le spiagge della Riviera.
Così ieri, nel mio secondo giorno di corsa dimagrante, una fatica immane sulle ridenti colline orobiche, con una casacchina nera e pesantissima per sudare un poco di più, controllando i movimenti della bilancia prima e dopo l’attività sportiva. Torno a casa e la Vale è lì, con un chilo di tagliatelle fatte in mattinata e con una boccia di ragù semplicemente divino, dei suoi, che ti si sciolgono in bocca. “Sono fresche fresche, ho pensato ti facesse piacere, e sono corsa a Bergamo a portartele…”, dice. Io cerco di contenermi, controllato da mio figlio Vinicio ce la faccio anche, magno un piattone, non i sette-otto che vorrei.
Il vero dramma si materializza di notte, finito di lavorare, quando verso le due penso a un veloce spuntino. Eccole, già sui fornelli, che mi guardano minacciose da una pentola, preparate da mia mamma per me, il suo pulcino. E mi parlano, cercando di farmi sentire in colpa: “Fai tanto quello che se ne fotte delle mode del momento e stai lì a stecchetto. Ma guarda come sono belle le donne curvy… Ce l’hai con loro? Sei uno di quei cattivoni che guardano solo le ragazze magrissime? Sei diventato stronzo tutto d’un colpo? Dimostra di essere una persona per bene e mangiaci. Forza, Matty…”.
E in un nanosecondo mi convinco che le tagliatelle al ragù hanno ragione e me le magno in un battibaleno e poi faccio la scarpetta con due panini. E per digerire quel ben di dio ci metto sopra anche un amaro del Capo. E maledico mia mamma, i suoi piatti a cui è impossibile resistere. E penso che la Vale sia una cuoca formidabile, oltre che una donna fantastica, e che io per un po’ non debba vederla più.
Matteo Bonfanti