Cronaca semiseria di un allegro pomeriggio dall’otorino, tale Davide Panciera, primario a Seriate, con il mio secondo, Zen, quasi quindici anni, maranza di un certo livello, impegnato ogni fine settimana a far le vasche a Orioland, pomeriggi e serate avanti e indietro dal centro commerciale, forse cercando l’amore che strappa i capelli. Ore 15, inizia l’avventura, obiettivo arrivare sani e salvi al Bolognini, perché mio figlio non respira dal naso e io sento poco dalle orecchie. Dopo un’ora di sbattimenti, in ordine convincere Ze a mollare i noodles e il divano, cercare la carta di credito di colore blu nascosta negli angoli più bui dell’appartamento, fare due carezze al gatto, Gionni Decateler, in evidente bisogno di affetto, ricordarmi dove ho messo la Panda, prenderla, girare la chiave e convincerla a partire, trovare su Google Map l’indirizzo del nosocomio, tirare giusto un paio di balle al tipo minuscolo che sta dentro al navigatore e che spesso diamo per scontato nonostante anche lui abbia un cuore, andare al Cup, pagare il ticket, scovare l’ascensore giusto tra i tre che ci appaiono all’orizzonte, scoprire l’ambulatorio numero cinque scegliendo tra i dodici che abbiamo davanti, ecco il dottore. E’ bellissimo, ma bellissimo da paura, da mettere quasi soggezione a un bruttone come me. Alto, moro, con gli occhi celesti, spettinato, ma bene, coi ricci intorno, giovane o giovanile, probabilmente uno skipper. Guarda Zeno, dieci minuti e dà la diagnosi, setto nasale deviato, urge l’operazione. Guarda me, che di questi tempi sono rosso rosso, barbuto, con la coda e due orecchini regalati da Manila, la mia nipotina, che mi vuole così, diciamo trasgressivo. E il medico si fa la sua idea, “ah, voi, musicisti… Sempre problemi alle orecchie”, “dottore, mi perdoni, ma non sono un musicista, ho fatto musica per un po’, come tutti, da ragazzo, ma da due decenni faccio il giornalista e lo scrittore”, “ah, voi artisti, musicisti e adesso anche scrittori, ho visitato un tuo collega proprio ieri, un batterista, era messo male, tutta colpa del rock”, e da lì io muto. E’ bravo, mi fa fare esami su esami, mi infila sondini nel naso e nelle orecchie. E intanto riparte con l’idea che si è fatto di me, che il mio abito faccia il monaco, un monaco tibetano alle prese col citar: “Che musica fai?”. E io, sul punto di mollare, faccio l’ultimo tentativo: “Sto scrivendo una serie di biografie sulle persone illustri a Bergamo. Di solito mi occupo di pallone”. E lui in silenzio per un secondo, poi la sua curiosità, legata all’altro mio figlio, Vinicio, visitato la settimana scorsa, “ma l’hai chiamato così perché di tanto in tanto suoni con Vinicio Capossela?”. E lì, a quel punto, sognando uno sconto sulla sua prestazione, mi metto a dirgli quello che vuole: “Sì ed è mia pure la melodia di Bohemian Rhapsody. Avevo sette anni, ero un genio della chitarra (che in realtà è trent’anni che ci provo, ma che ancora non so suonare, ndr)”. Accontentato, Davide Panciera mi dà la diagnosi: abbastanza sordo per via che nell’orecchio sinistro ho un ossicino che non funziona più. Capita, è un po’ come nel calcio rompersi un menisco, e adesso la medicina fa miracoli e te lo mettono nuovo di zecca. Resta quello che non gli ho detto vedendolo all’improvviso così fico, “ma lei, dottore, quando ha smesso di fare il modello per Armani per fare il primario al Bolognini? Posa ancora per la Volvo? Succede ancora che la chiamino a Vogue Italia per fare due servizi in mutande?”. Ma non ho proferito parola perché per me l’abito non ha mai fatto il monaco.
Matteo Bonfanti
Nella foto: il musicista Matteo Bonfanti con l’orecchino di Manila