Ero piccolo, tenevo per mano mio papà.
Ero emozionato mentre mi avvicinavo allo stadio, ma non immaginavo che quell’emozione di attesa fosse solo la punta dell’iceberg.
Comprammo il biglietto, ai tempi era facile, lo tenevo stretto, era colorato, da collezione e nella mia mente riaffiora addirittura un profumo.
“Che bello, papà “, gli dissi.
Sono sicuro che lo pensò anche papà.
Entrammo in curva sud, ricordo come fosse ora la lunga scalinata sul retro che porta in cima.
Sentivo ovattato, ma appena sbucammo dalla scala vidi l’enorme campo verde, lo stadio gremito, l’aria fresca che colpì il mio viso e un brivido raggiunse la mia schiena.
Strinsi forte la mano di mio padre, non finirò mai di ringraziarlo per avermi regalato il senso di appartenenza e l’amore per la nostra terra non dando importanza ai risultati.
E in una sorta di staffetta della vita, quando ho portato mio figlio Edoardo per la prima volta alla Dea, è tornato quel brivido sulla schiena.
L’Atalanta è questo, e mio padre mi ha trasmesso passione, orgoglio, amore e rispetto verso il prossimo, proprio grazie alla tanto bistrattata vita da stadio.
Ora come padre, spero di esserne all’altezza.
Ecco perché, dopo 114 anni, la Dea è come fosse appena nata.
Perché le emozioni si rinnovano giorno dopo giorno.
Anno dopo anno.
Vita dopo vita.

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