Non me ne volere, mia cara Atalanta.
Non è colpa tua.
Mentre ti osservo, in ogni entusiasmante gara che ci regali, mi accorgo che non basta più solo quell’orgoglio sconfinato che provo nell’essere bergamasco e atalantino.
Non mi basta l’ansia che provo davanti alla tv, non mi bastano le mani sudate e le unghie tritate sul divano.
Io non sono programmato per questo.
I profondi sentimenti, di orgoglio e ansia, non riescono più a tramutarsi in vere emozioni.
I miei occhi, anche dopo una vittoria, non sono -e non possono essere- gli stessi di quando ti “vivevo dal vivo”.
E te lo scrivo proprio oggi, alla vigilia di quella gara che -noi bambini bergamaschi- non ci permettevamo nemmeno di sognare.
Lo so, può sembrare irrispettoso, a tratti persino irriguardoso nei tuoi confronti, che stai davvero superando ogni limite.
Ma, stanne certa mia Dea, non baratterei mai un quarto di finale di Champion’s League, con il ritorno da te alla fine di questa guerra.
Mentre ti scrivo questa lettera, che sembra provenire dal fronte, sento quel brivido sulla schiena, che domani sera -ancora una volta- mi regalerai.
Sarà ancora un brivido malinconico, accompagnato da quelle lacrime di gratitudine e orgoglio, che rendono agrodolce questa vita sospesa.
Intanto il mio orgoglio aumenta, senza discussione.
Grazie, mia Atalanta, per i colori che ci regali.
In attesa che la vita, assieme a questa fotografia, torni a colorarsi anche di noi.

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