Era il 10 marzo, l’ultima nostra partita in Champions.
Stavamo cambiando, senza rendercene davvero conto.
Per strada, ormai, solo ambulanze.
Nell’aria, oramai, solo il suono delle sirene.
Sirene che si sarebbero mischiate alle campane a morto, sempre di più nei giorni a venire.
Suoni fastidiosi, che anche ora, se uditi, ci urtano lo stomaco.
Molti nostri amici e parenti, in quei giorni, sarebbero finiti in ospedale, e molti, non sarebbero più tornati.
Io, mi sento ancora quello del 10 marzo.
Assente, inerme, in bianco e nero, ma sempre più tifoso ed orgoglioso.
E il simbolo della partita di domani, è proprio l’assenza.
Nostra e quella di Josip Ilicic.
Quello che ci ha fatto vincere gli ottavi.
Proprio quello che domani non ci sarà.
Come noi e come tanti lassù.
Non siamo arruolabili per questa battaglia di sport e di orgoglio.
I nostri soldati sono all’estremo ovest d’Europa, dove il sole tramonta dopo.
Per tentare di farci vedere il sole più a lungo.
Anche da lontano.
Anche da soli.
Non vogliamo più il buio.
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