Faccio la borsa e i sentimenti sono gli stessi di sempre, identici a quelli di trent’anni fa, quando ero un ragazzino e avevo tutti i brividini lungo la schiena e mi scappava la pipì dall’emozione. Cerco le scarpe, impolverate da questi mesi, i miei primi senza manco una volta il calcio, neppure al parco per sbaglio. Le guardo e mi si riempie il cuore di felicità. Stasera gioco, torno finalmente a casa, a correre sopra a un campo di pallone. Nei primi dieci minuti mi farò i cazzi miei, ignorando i compagni liberi a centro area, giocherò da solo, con in testa il bisogno di fare almeno un golletto.
Sono in redazione e mi gusto questa splendida attesa, ricordo ogni allenamento e ogni partita della mia vita. E penso a Ibra e a Cristiano nella domenica di Milan-Juve o a Lukaku e a Ilicic nel sabato sera di Inter-Atalanta, chissà se anche loro sentono la meravigliosa sensazione che in un attimo riporta d’improvviso all’età di sei anni. Li abbiamo avuti tutti ed eravamo piccoli piccoli e pieni zeppi di sogni.
Ho quel profumo addosso, sentito tanto tempo fa, appena messo in fascia da un allenatore grande grande e sorridente. Dalle narici mi arriva fino a dentro all’anima e mi muove le gambe sotto il tavolo, è buonissimo, è l’odore del prato tagliato di fresco. E sfilano i miei ricordi, si mettono in fila, c’è mio babbo in tribuna, c’è il mio primo amore che mi applaude e si commuove mentre segno un gol, c’è mia mamma che raccoglie i fiori che stanno crescendo lungo il vialetto che porta al campo dagli spogliatoi, ci sono i miei due compagni d’attacco che alla fine del primo tempo mi parlano delle bellissime gambe lunghe di mia sorella.
Solo questo, il calcio è soprattutto un sogno, vorrei non mi mancasse più, martedì, giovedì, sabato, martedì, giovedì, sabato, all’infinito, i falli e le incazzature, i gol e l’allegria, gli amici, la primavera, e io che sono di nuovo libero di tornare bambino.
Matteo Bonfanti
Nella foto di gruppo la squadra più forte con cui ho giocato, il Berghem Soccer Team