Ieri, ad un certo punto, alla quinta ora a tavola, credo fossero le sei di sera, ho iniziato ad avere una serie di visioni, come sempre a sfondo evangelico. Da principio la Madonna, ma non lei, che di solito è mingherlina, una sorta di sorella gemella piena di merendine nella panza, di Fonzies e di Bounty della macchinetta, insomma una Santa Maria ciccionissima. Stava dentro a una vecchia carriola verde militare bella grossa, trainata da un Gesù abbastanza in sovrappeso che con una mano tirava sua mamma mentre con l’altra mi faceva le corna. I due si sono fermati al centro del ristorante dove eravamo, il famoso Giovannella, a Lecco, nel rione di Acquate, han fatto partire l’artiglieria, un tuono e tre fulmini e poi in coro mi hanno detto “Pentiti”. Non sto a raccontare le altre tre apparizioni avute, San Matteo, San Luca e i tre Re Magi insieme, tutti grassocci, arrivati una mezzoretta dopo rispetto ai colleghi, quando Ernesto, il mitico Erni, mostrava alla nostra famigghia allargata la sua delusione per l’uovo di nove chili dimenticato in maghina a sciogliersi.
Sempre ieri, sul tardi, ho incontrato due amici che non vedevo da un botto, Vale e Lorenz, entrambi in formissima, magretti. E mi chiedevo “ma quei due come minchia fanno se vivono qui da noi dove persino il Signore e il suo giro non gliela fanno più con la bilancia?”. Abbiamo parlato di lavoro e di sport e non gli ho chiesto il loro segreto, magari funghi di campo e bacche rosse. Così mi sono concentrato esclusivamente su di me, che, all’una e trentacinque circa ero a vedermi Blanca su Netlix, cercando di farmi tornare alla mente i piatti mangiati nell’arco della settimana anche per via del mio lavoro, il direttore di un giornale, l’uomo più invitato a pranzo e a cena, penso, al mondo. Non mento, vi elenco onestamente i miei sette giorni: sei piatti di casoncelli dalla Giuliana, cinque vitelli tonnati buonissimi, sempre della Trattoria d’Ambrosio, e un coniglio con la polenta, sei pizze Raul (bacon o salamino più zola) equamente suddivise tra Grano Puro e Vesuvio, luogo che mi ha visto a cena in un’altra occasione, gnocchetti alla sorrentina e impepata di cozze con pomodoro, quindi lo stadio nello Sky Box di Agrolux per Atalanta-Bologna, ossia pizze, focacce, torte salate, melanzane alla parmigiana, colomba al cioccolato. Per finire la Pasqua, il colpo di grazia, menù con pesciolini in carpione, misultin alla griglia con polenta, carpaccio di bresaola, misto di salumi con lardo e formaggi valtellinesi, agoni in carpione, insalata russa come se piovesse, riso con delle verdure verdi, pasta con della carne, pezzi di animali a caso e torte. Evito di elencare vini, amari e grappe, altrimenti arriva in redazione quello degli alcolisti anonimi e mi porta via per sempre.
Oggi mio figlio Vinicio, sedici anni, assai in crescita, mi ha obbligato a portarlo alla Carbonella in via Broseta. Anche lì strafogandoci. E io, che mi ero messo in testa di saltare il pasto, ho finito per fare la fine del vitello grasso e grosso. Così, alle cinque, ho preso la bicicletta elettrica Yellow e sono arrivato fino a Curno facendo una fatica boia nonostante andasse da sola, sudavo manco avessi vinto al Tour la tappa del Mont Ventoux. Sono tornato in redazione accorgendomi che il mio quarto d’ora di cyclette non mi aveva dato l’esito sperato, l’alleggerimento necessario a scrivere decentemente. Perdonate questo pezzo, la foto dimostra quanto stia soffrendo a causa del troppo cibo. Da domani mi do una calmata e rifiuto qualsiasi invito che non arrivi da qualche pensatore di quelli giusti, lo 0,0001 in Italia intento a digiunare.
Matteo Bonfanti