Mi sveglio con i raggi del sole che entrano dalle finestre, e una delle prime cose a cui penso è la partita, c’è il tempo perfetto. Il papà viene a darmi il buongiorno dicendomi che saremmo potuti andare allo stadio in moto: lui con la sua inseparabile Harley e io con il cinquantino della mamma. Sarebbe stato il mio primo tragitto in moto fuori dal mio piccolo paese, ma il tempo non si è rivelato a nostro favore. Infatti verso l’ora di pranzo comincia a diluviare, quindi decidiamo di prendere la macchina e ovviamente non sono potuti mancare i nostri riti scaramantici su quale strada imboccare: Superstrada o Provinciale? La sfida la vince la Superstrada. Arrivati al bar vicino allo stadio il papà incontra dei vecchi amici di scuola e, dopo birre e chiacchiere, ci dirigiamo allo stadio. Rimaniamo sotto al tetto fino a 5 minuti dall’inizio per la pioggia, che poi diminuisce. Dopo il minuto di silenzio per Emiliano Mondonico, una persona che ha fatto un bel pezzo di storia a Bergamo, da quel che mi raccontano, la partita inizia. È piena di occasioni non sfruttate al meglio fino al secondo tempo, nel quale possiamo finalmente esultare. “Ma chi me l’ha fatto fare?”. “Potevo starmene sul divano sotto le coperte”. “Basta stare sotto la pioggia per 90 minuti”: sono pensieri che passano nella testa di tutti noi, quando vai allo stadio a prendere acqua, ma non si sà il perché, c’è sempre un qualcosa che ti dice di andare allo stadio, di andare a vedere la Dea, perché è come una dipendenza, una malattia dalla quale non si può guarire.
Anna Arsuffi