di Simone Fornoni
Sulle distinte si legge Atalanta, ma la carta d’identità e i risultati raccontano l’eterna rivincita di Villa Arzilla. O dell’usato sicuro, fate voi. I dati e i fatti sono lì da vedere. Beppe Biava, primavere numero 38 nonché core d’a ‘a Lazio, che a momenti tarpava le ali all’Aquila e supera da solo con 21 punti in 17 allacciate di scarpe la media dell’intera squadra (33 in 34). Paolo il Bello da Sarnech, che all’appello dell’anagrafe risponde 35, con la fascia al braccio e le diagonali dei bei tempi. PiniGol (31), che stavolta s’è preso una pausa dopo il mercoledì da leone a Cesena ma sta facendo più che degnamente il vice Denis (altro vegliardo, va per i 34). Dulcis in fundo, Edy Reja, timoniere da 70 giri di corsa, che zemanianamente incassa il quarto pareggino di fila accontentandosi della prestazione. L’agognata Atalanta dei giovani, insomma, può aspettare. Un po’ come l’appuntamento col bottino pieno, trovato solo col Sassuolo nel post Colantuono. Alla faccia dello svecchiamento della rosa che aveva fatto da preambolo al calciomercato estivo, i punti fermi del cammino verso l’ennesima permanenza al piano di sopra sono figli dell’esperienza.
Non si vince manco a piangere cinese, ma tant’è. Intanto la chiave tattica ha inciso la carne viva della nona sinfonia del Vecio sulla panchina di un collettivo che comunque, prima del suo arrivo, non è che fosse esattamente con tutti e due i piedi all’inferno. Archiviata la quartina secca all’insegna del 4-2-3-1 o 4-4-1-1 (la versione più chiusa da trasferta, ma sono dettagli per pignoli) baciata dall’unico successino d’oro contro mister Mapei l’amicone di Percassi, il Traghettatore di Lucinico rispolvera il tridente, il modulo della “sua” Lazio, usato in precedenza solo nello scialbo brodetto di Parma, proprio contro quelli che alla vigilia aveva chiamato affettuosamente i suoi figliocci. Gente di discreta classe ma troppo innamorata della palla e del lancio lungo per Keita, tattica ferma al palo del quinto giro di lancetta e all’aiutino involontario di Masiello che poco dopo la mezzora corregge il crossetto di Felipe Anderson quanto basta per chiamare Sportiello alla spalancata d’ali sull’incursione del razzente ispano-senegalese. In mezzo al guado del primo tempo, la Dea s’è desta ed ecco qualche trama succulenta con bocconi di pregio smistati sulle corsie. Roba per palati caserecci ma non meno esigenti, a dispetto del ruolino di marcia al piccolissimo trotto. Tanto da rendere necessario il tris di saracinesche di San Marchetti, il prodotto più famoso di Bassano del Grappa dopo il famoso ponte caro agli alpini e alle coppiette: nell’ordine, la svettata di Migliaccio, la girata da centroboa di Biava (d’esterno) e il rigore in movimento del Papu a un amen dalla pausa, accentratosi sul servizio dall’out di un Bellini in versione gerovital.
Alzi la mano chi si ricorda di sprint a ripetizione e ben tre chances in una sola frazione (e altrettante nella ripresa, col raddoppio rimasto in canna a Cigarini) prima delle magate a ripetizione dell’ultima domenica. È bastato un minimo di turnover, dettato dal buonsenso più che dagli acciacchi, per alzare l’asticella e il baricentro: Biava e Del Grosso, dietro, danno più affidamento di Stendardo e del crossatore dal piede spurio Dramé, mentre D’Alessandro dallo start sarebbe stato disutile solo col modulo rispolverato nel finale dal cambio obbligato Ciga-Maxi. Le prove generali di gol le fa ancora Gomez, l’elemento che al Cola era mancato come l’aria e il fuoco, fermato dal connubio palo-mano marchettiana, ma la schiacciata da killer in guanti bianchi del veteranissimo è a un passo. Parolo, sul mischione da corner, rovina parzialmente i piani di una salvezza in ogni caso fuori discussione perché, siamo seri, quelle ancora più in basso vanno a passo di lumaca e non ce la possono fare. La coda stagionale non è di quelle che fanno saltare sulla sedia dallo spavento la massaia alle prese con l’invasione di topi in dispensa. Le sfide con Palermo, Genoa, Chievo e Milan, all’andata quattro mani felici (tre pari e vittoria corsara a San Siro) del pokerista di Anzio già allora a rischio di cacciata dal saloon, se non altro partono col conforto di uno spettacolo degno offerto al cospetto di una big. Non poco, anche se ogni tot vincere – 6 a referto, una in meno dell’AlbinoLeffe: non una pietra di paragone rassicurante – non sarebbe male. Specie quando, una tantum, si gioca meglio degli altri.