Intervista al professor Giuseppe Remuzzi,
scienziato di fama mondiale
e direttore dell’Istituto di Ricerche
Farmacologiche Mario Negri

di Monica Pagani

Professor Remuzzi, l’Italia è il paese del pallone, ma il calcio è fermo.
I bambini devono tornare a giocare a calcio. Con attenzione, ma devono farlo.
E coi rischi come la mettiamo?
Vede, qualche giorno fa è stato pubblicato un bellissimo articolo sul Wall Street Journal che spiega come i ragazzi al di sotto dei 15 anni abbiano dalle 6.000 alle 20.000 possibilità in più di morire di polmonite che di Covid19, e il 128% di possibilità in più di rimanere coinvolti seriamente in un incidente stradale piuttosto che subire i danni del virus.
Quindi come ne usciamo?
Quindi è necessario mettersi d’impegno per trovare delle soluzioni, per far sì che l’attività sportiva di base venga ripristinata nella sua totalità.
E gli adulti?
«Non solo i più piccoli, ma anche gli adulti devono riprendere a coltivare le proprie passioni legate al mondo dello sport. Bisogna giocare, e lo si farà a porte chiuse. Lo sport è un fattore importante non solo per chi lo pratica in prima persona, ma anche per tutti gli appassionati che, dopo questi due mesi di lockdown, hanno tutto il diritto di tornare a guardarsi una partita alla televisione.
Insomma, dobbiamo darci da fare.
Bisogna che la gente torni a togliersi queste piccole soddisfazioni perché, diversamente, non ci sarà solo il pericolo della crisi sanitaria ed economica, ma anche di quella psicologica.
Si può parlare di nuova normalità?
Quello che abbiamo subìto è stato certamente molto forte, ha avuto un impatto importante sulla nostra vita ed è giusto, trovando il modo corretto, tornare alla normalità.
E’ molto probabile che questo virus ci accompagni per qualche anno. Come siamo messi a livello di cure?
Dal punto di vista farmacologico, possiamo dire con certezza quali siano i livelli di efficacia dell’antivirale Remdesivir. Abbiamo anche messo a punto un protocollo clinico che ne ottimizzi l’efficacia durante le varie fasi della malattia.
Le altre strade.
Oltre a questo, c’è tutto il tema dell’impiego del plasma nei soggetti malati. Anche in questo caso direi che siamo decisamente sulla buona strada.
A che punto siamo?
Stiamo mettendo a punto un grande studio italiano che mira a dar vita ad un protocollo che avrà carattere nazionale. Si tratta di un lavoro congiunto tra l’Università di Pisa e alcuni degli esponenti più illustri dell’Aifa, come ad esempio il direttore Magrini, e anche di un comitato di cui faccio parte anche io.
Ci spieghi meglio.
Stiamo lavorando insieme per tracciare le linee guida in materia di plasma, per poter intervenire anche senza il donatore guarito, creando una vera banca del plasma.
In che modo?
Estraendo gli anticorpi dal plasma, clonandoli artificialmente in laboratorio, per poi arrivare a produrli industrialmente. Si tratta di processi già conosciuti oggi, ma che potranno essere applicati domani per il Covid19.
Possiamo dire, adesso, di essere più preparati?
Visto che con questo virus dovremo convivere, avremo comunque diverse possibilità in più per poterlo affrontare: primo perché non saremo impreparati come lo siamo stati a fine febbraio, sapremo come fronteggiarlo anche dal punto di vista medico-sanitario, saremo anche equipaggiati nelle strutture ospedaliere e infine perché, nel frattempo, la scienza continuerà a fare il suo corso.
Questo virus ci farà meno paura in futuro?
Se ci aggiungiamo che una buona fetta della popolazione mondiale potrà essersi immunizzata, potremo forse affrontare questo coronavirus come un banale raffreddore.
L’obiettivo è non ripetere quanto visto a marzo in Bergamasca.
Che sia a giugno o a ottobre, avremo molte più conoscenze che ci potranno permettere di evitare che il virus faccia i disastri che abbiamo visto due mesi fa.
Questione vaccino, a che punto siamo?
Potrebbe essere pronto a fine anno, poi bisognerà affrontare i delicati temi dello scale-up, della produzione e della distribuzione. Dovrà essere prodotto e distribuito in miliardi di dosi.
L’importante è che sia accessibile a tutti.
Certo, il vaccino deve mantenere la sua connotazione di democraticità. La vicenda non deve assolutamente ridursi ad una mera questione economica.
C’è qualcosa che le fa storcere il naso?
L’Inghilterra, che ha investito molti quattrini nello studio del vaccino fatto con l’Università di Oxford, punta ad avere l’esclusiva, gli Stati Uniti che stanno facendo la stessa cosa con determinati tipi di farmaci…
Quale soluzione?
L’obiettivo deve essere quello di togliere i brevetti a questi vaccini, in maniera tale che venga a cadere il principio di esclusività e che tutti gli abitanti del mondo possano beneficiarne. Un po’ come è stato per il vaiolo. Io mi auguro che si riesca ad andare oltre certe logiche, a beneficio della tutela della salute.