«Ciao ragazzi, auguro una Buona Pasqua a chi festeggerà. E a chi non lo farà, auguro un buon riposo!».
«Prof, vede il politically correct? Non possiamo nemmeno dire solo Buona Pasqua!».
Sembra una chiacchierata qualunque, ma in realtà questa frase mi ha lasciato davvero disorientato. L’ha detta uno dei ragazzi bravi bravi, quelli che vivono con naturalezza in una classe multietnica da sempre, ridendo e scherzando con la serenità e la leggerezza di chi è così giusto da esser leggero. Mi sono fermato. E ho riflettuto con lui. Cosa ci costa avere l’accortezza di fare un augurio diverso a chi crede e a chi non condivide lo stesso credo, a chi rivolge le sue speranze a un altro Dio? Quale sforzo ci richiede? Nessuno. Non ci chiede di rinunciare a nulla, ma solo di non voler per forza imporre un’idea. Ci chiede solo di accogliere l’altro, condividendo qualcosa con lui. Possiamo festeggiare Pasqua anche se qualcun altro non lo farà: cosa cambia per noi? Nulla. Ma qualcun altro potrebbe sentirsi più accolto, quasi accarezzato, riconosciuto. La scorsa settimana scrivevo quanto l’adolescente assorba dall’ambiente che lo circonda. Questa è un’altra dimostrazione. Certo che possiamo dire Buona Pasqua! Ma chi mai ce lo vieta? Lo dico ininterrottamente da qualche giorno e non ho avuto alcun problema. Diciamocelo con un bel sorriso, perché la campanella finalmente ci accompagnerà a qualche giorno di festa, di serenità, magari anche di famiglia. Ma nessuno ci toglie qualcosa se, semplicemente, ci mostriamo un po’ più aperti. Anzi, forse è così che potremmo cercare di costruire una scuola giusta, anche da queste cose.
Daniele Benvenuti (nella foto sotto)