Se il covid me lo permetterà, tra due settimane andrò a Bologna da mia nonna, che si chiama Giuseppina e che io amo tanto. Non andrò per parlarle, ma solo ad abbracciarla forte, tanto e a lungo, come è stato tra noi fin da quando ero bambino. Le chiederò di darmi un’altra volta quel pezzetto che da piccino a Lecco mi mancava, l’amore smisurato, ma pure la mano, le preghiere e i pizzicotti, la misericordia tutta intorno. Mi guardo indietro e so che averle addosso mi ha permesso di non accopparmi di droghe quando ero ragazzino e manco sapevo dove andare.
Se il coronavirus la pianterà di essere così stronzo e così feroce, mangerò i tortellini con lei, in Piazza della Pace. Le dirò che non c’è niente che non va e poi correrò in via Inviti, vicino vicino a dove abita Luca Carboni. Andrò da mia zia, che di nome fa Celestina, ma lo sappiamo in pochi pochi, perché per tutti lei è Tella, quel soprannome, che ha lo stesso colore dell’arcobaleno. Arrivavo a vent’anni, cercavo un altro Egitto che il mio non mi bastava, mi apriva la porta, mi chiedeva di cosa avessi bisogno. Le rispondevo “sai, zia, ho ancora bisogno di giocare, per poco, solo un altro po’”. E lei apriva una bottiglia, apparecchiava il Risiko sul tavolo della sala e giocavamo. Accanto a noi c’era Sandro, suo marito, un uomo meraviglioso, anche se io non sono riuscito a dirglielo mai.
Ma non mi fermerò nella sala della loro casa, per me tra le poche dove non mi sono mai sentito di disturbare, correrò a Budrio da mio cugino Simone, che è bellissimo e pare Dustin Hoffman da giovane, con quegli occhi neri neri, inebrianti, che ti magnano al primo sguardo. E starò accanto a lui, che tiene ogni volta in braccio i suoi bambini, Ceci ed Edo, Edo e Ceci. E Budrio sarà ridere e bersi una birra per poi andare dalla Cri, sua mamma, a Castenaso, che a venticinque anni è stata uguale uguale alla Vale, che è la mia favolosa madre, con tutti quei consigli liberi e vivi, nell’idea “va beh, Matty, sei strano, ma è anche bello bello tu sia così. E’ un bene, non averne paura”.
Finito il mio giro in Emilia, la mia bellissimissima Emilia, tornerò a Valgreghentino dalla Valeria, il fantastico posto dove sono nato. E chiamerò mio babbo, Marco, che sta a Lecco ed è tanto buono, perennemente vestito dei suoi occhi azzurri. E li ringrazierò della loro generosità, che mi hanno fatto crescere nella libertà di condividermi, di stare ogni volta accanto a chi mi amava, rendendomi fortissimo con tutto quell’amore, nell’abbondanza di tanti affetti, uguale identico al Vestaglietta, che sono grazie a tutti loro, la mia famiglia, di Lecco e di Bologna.
Matteo Bonfanti
Nella foto io e la mia nonna, la Giuseppina