di Matteo Bonfanti
Dice il Corriere, e io gli credo perché ho un amico che ci lavora dentro, che andare a sentire Obama oggi a Milano costava 850 euro, all’incirca metà del mio stipendio, grosso modo un mese di paga dei miei amici intorno ai trent’anni, soprattutto camerieri ed educatori o entrambe le cose per quindici ore al giorno, assunti a termine dalle peggiori cooperative del nord Italia. Spiega il celebre quotidiano di via Solferino che i posti disponibili erano tremilacinquecento e che in un attimo erano già stati occupati tutti per un ricavo complessivo di duemilioninovecentosettantacinquemila euro, un botto di soldi.
Del compenso dell’ex presidente statunitense nessuno dice nulla, ma poniamo che sia stata usata la vecchia formula dei concertoni a San Siro, settanta per cento agli organizzatori, trenta alla rockstar, significa che il leader democratico ha guadagnato un milione di euro in un pomeriggio di chiacchiere e distintivo. Continuo col mio solito viaggio pomeridiano, ovviamente chiedendomi se sia solo mio, ritenendo credibile che il nostro eroe, che è uno che parla un sacco, abbia detto almeno diecimila parole, che, mediamente hanno sette lettere. Il calcolo è presto fatto: il milioncino che si è cuccato Obama diviso per diecimila diviso per sette. Una letterina del bel Barack vale 14 euro, undici Tennents all’Esselunga. Dice: “Ah” e guadagna 28 euro, un chilo di prosciutto crudo alla Coop, dice: “Mmm…” e si mette in tasca 56 euro, un telefonino scaccione a Mediaworld, un “Porca troia” e sono 140 euro, un bel monitor Samsung, un “Figa cazzo sono all’ostia” gli frutta 294 euro, una lavatrice di marca, un “Mi scappa una puzzetta, posso andare un secondo in bagno?” 658 euro, l’ultimo Iphone.
Allora ci ho provato anch’io, che in sto periodo sono un po’ a bolletta. Ho pensato: “Obama è Obama, è bellino forte, lucido, intelligentissimo e pare anche una bravissima persona, a modo. Facciamo che vale cento volte me, che sono Matteo Bonfanti, bruttino, un po’ tarato, ma tenero come il tonno, mai veramente offensivo, a volte un simpaticone”.
Ho avvisato delle mie intenzioni una redazione forse troppo distratta a lavorare (Marco a impaginare, Monica al telefono coi fornitori, Carmelo a raccogliere la pubblicità), e mi sono messo in un discorsone sul genere obamiano. Deliravo allegramente sulla fame nel mondo e sui cambiamenti climatici, mi rammaricavo per gli africani che non mangiano o per gli americani che vanno avanti a merendine e hamburger del Mc Donald’s che a lungo andare fanno venire il colesterolo che è un bel casino per il fegato. Ero pure ispirato, che dicevo che l’effetto Serra è una figata perché adesso fa quel pelino più caldo in marzo, aprile, settembre e ottobre, e dovremmo ringraziare le aziende che fanno i deodoranti con dentro il gas. Mi sentivo in gamba, originale, per nulla scontato, a un certo punto ho addirittura finto un pianto, gridando: “Dobbiamo tornare ai valori antichi, quelli di quando c’erano le mezze stagioni, il lupo perdeva il pelo, ma non il vizio, l’ozio era il padre del vizio, quindi, probabilmente, l’ozio era il padre del lupo o forse erano solo parenti, ma sono cose importanti, da non sottovalutare”. Ho contato le parole, un migliaio sparate a raffica, Obama avrebbe preteso centomila euro. Io, che sono un Obamino, volevo solo mille euro. Ho cercato il librettino delle ricevute, ho presentato a Marco e a Monica, i miei due soci, il conto. Mi hanno mandato a cagare, tranquillamente e garbatamente. Ho pensato che in Italia non c’è giustizia e mi sono chiuso in un silenzio carico di pensieri.