Appiano Gentile – Lungo la scia gloriosa (per lo meno questo si augurano i tifosi della Beneamata) dei grandi attaccanti di origine polacca ma naturalizzati tedeschi, una tradizione che annovera tra i suoi rappresentanti due tipini come Miro Klose e Bob Lewandowski, è stato presentato ieri, alla Pinetina, Lucas Podolski, uno dei due colpi del mercato di riparazione (l’altro, Xherdan Shaqiri, è stato ufficializzato proprio nei minuti in cui “Poldi” veniva presentato alla stampa) dell’Inter di Roberto Mancini e Erick Thohir, impegnatissimi nell’opera di ricostruzione, o per meglio dire di costruzione di un nuovo ciclo, con cui i nerazzurri sperano di tornare a splendere nel panorama calcistico internazionale. Forse è presto per dire se il nuovo ciclo passerà anche dai piedi di questo ragazzone di Gliwice dal sorriso contagioso e noto per essere un gran buontempone, amante degli scherzi a giornalisti e compagni, figlio d’arte per parte di padre e con una mamma ex nazionale polacca di pallamano, tanto più che il giocatore, almeno fino a giugno, è a Milano in prestito e ancora di proprietà dell’Arsenal, pur se con diritto di riscatto da parte della società meneghina: ma se il buongiorno si vede dal mattino, la personalità e il buono stimolo sui compagni mostrati nel secondo tempo della partita con la Juve può far ben sperare i tifosi interisti.
Conferenza stampa, diciamolo subito, dal tono nettamente istituzionale e decisamente soporifera, vuoi per le domande non esattamente pungenti della platea di giornalisti presenti, vuoi perché ormai è difficile che i calciatori, a parte rari casi, si lascino andare a risposte non da soldatini: saranno i troppi interessi in ballo, saranno gli ordini societari, ma ormai una conferenza stampa è sempre più simile a un comunicato della segreteria della Democrazia Cristiana del 1987 che a un colloquio con uno che, fino a prova contraria, nella vita sarebbe un attaccante-quasi-fantasista. Essì che qualcuno ci aveva anche provato, a chiedere al Poldi, ad esempio, la sua sulla ormai celebre lite in campo di domenica sera tra Osvaldo e Icardi (ecco, Osvaldo probabilmente sarebbe uno che in un’intervista sarebbe piuttosto spumeggiante, ma si dice dalle parti di Appiano Gentile che stiano già preparandogli le valigie, proprio dopo lo scazzo con il tronista goleador Maurito): niente da fare, bocca cucita e prudenza più degna di una crisi nei Territori Occupati che di una zuffa tra due galli nel pollaio. E così, le chicche migliori del pomeriggio ad Appiano Gentile sono state la simpatica e tranchante risposta di Podolski alla cronista di Repubblica che gli chiedeva la sua sulla Goal Line Technology, che lui ha potuto sperimentare giocando in Premier (“Non me ne frega assolutamente nulla”. Amen) e la dichiarazione che, stante ovviamente la ligia obbedienza a dove il Mancio sceglierà di metterlo in campo, a lui più di tutto piace giocare da numero 10 (e qui mi sa che però qualcuno non si è capito con qualcun altro, visto che l’allenatore l’ha voluto per fargli fare prettamente l’esterno), oltre alla targhetta “Je Suis Charlie”, in omaggio alla libertà di satira dopo i fatti di Parigi, sulla telecamera di un operatore tv. Per il resto, ovvie dichiarazioni di prammatica: felicità e orgoglio per essere all’Inter, la voglia di lottare per il terzo posto e la Champions, l’amore per il suo idolo Ronaldo, la sorpresa per la calorosissima accoglienza all’arrivo a Linate, qualche pensierino alla Nazionale tedesca, visto che Löw gli ha fatto capire che se vuole essere convocato è meglio che giochi, e all’Arsenal questo non succedeva, la scelta individuale di accettare la proposta nerazzurra dopo colloqui personali con Mancini e Ausilio, senza consultare nessun altro se non i propri cari (in risposta ai complottisti che volevano chissà quali consultazioni segrete con Rumenigge o Sammer) e l’ammissione sul fatto che l’unica cosa che ha chiesto a proposito di Milano è stata di avere qualche suggerimento su ristoranti e posti da visitare. Ah, e poi l’imperdibile domanda di una cronista della tv brasiliana (!): pensi che giocherai mai in Brasile? (Cosa volete che abbia risposto? Esatto: boh!). Insomma, niente di trascendentale, è vero, ma la sensazione di avere a che fare con uno che ha giocato nel giro che conta e sa come si gestiscono tensioni e situazioni difficili, a differenza di gran parte della rosa interista in gran parte ancora da svezzare, da questo punto di vista, e che soprattutto lo fa con una certa leggerezza e cazzonaggine, probabilmente e sperabilmente conscio che, alla fin fine, fa uno dei mestieri più divertenti del mondo, e tendenzialmente lo fa anche piuttosto bene. A questo punto, poi, sarà il campo a “parrar la sua nobilitate”.
Manuel Lieta