di Marco Bonfanti
Quando si gioca a carte, per noi nel sacro venerdì sera, capita, il gioco è la scopa d’asse, che qualcuno alla fine di una mano ricca, dica: “Ah, se avevamo  (l’italiano zoppicante è direttamente ricavato dal parlato) l’asse bello, quanti punti che facevamo!” Allora, in quel preciso momento, immancabilmente, un avversario salta su e dice: “Eh sì, e se mia nonna aveva le ruote era un tram”.

Ora a me questa storia della nonna e delle ruote mi ha sempre, fin da piccolo, incantato. Innanzitutto perché aveva qualcosa di magico racchiuso in sé, implicava e implica una trasformazione radicale, una metamorfosi, per la sola aggiunta delle ruote, grandiosa. Ma poi mi piaceva, e tuttora mi piace, perché segna, in così poche ma pregne parole, la distanza, quasi infinita, che esiste tra il regno delle ipotesi, veicolate da quel se, e quello  della realtà fattuale.  E cosa c’entra tutto questo con Capogna? C’entra perché di Capogna si dice che se anche segnasse, sarebbe certamente un giocatore di un’altra categoria.  Se segnasse, ma lui, almeno per ora,  non segna, pur facendo per mestiere il centravanti, cioè quello più di ogni altro indiziato e preposto a mettere la palla  in rete. Insomma è come se di lui si dicesse che ha una bella voce, se anche cantasse, sarebbe un portento. Oppure che ha un bello stile e se anche nuotasse, allora sì che sarebbe un gran sportivo.  E via discorrendo, per altri innumerevoli, possibili esempi. Quindi il mio figurone di oggi è per l’appunto Capogna, numero nove del Lecco e giocatore senza gol.  Di lui già volevo parlare la volta scorsa, quando ho inaugurato, con un altro giocatore,  questa rubrica.

Ne volevo parlare perché, nella partita di esordio in campionato del Lecco, era riuscito a sbagliare il terzo rigore di fila in due partite di Coppa Italia e per l’appunto in quella lì di inizio campionato. E non per denigrarlo, anzi. Mi aveva infatti molto colpito che dopo due penalty sbagliati si fosse presentato sicuro anche sul terzo, cioè non avesse tergiversato, ma fosse andato sul dischetto conscio delle proprie responsabilità, senza affatto sottrarsi ad esse.  E mi chiedevo, in questa mia solitaria ammirazione, perché lo avesse fatto. E mi rispondevo, in una sorta di serrato dibattito interno, che Capogna doveva essere un tipo che aveva un’alta considerazione di sé, non tarlata da dubbi inconcludenti sulle proprie possibilità e  capacità. A me i tipi così, forse per un’insana identificazione, piacciono assai. Certo i sicuri di sé sono maggiormente esposti alle figuracce, perché non sempre sanno calcolare con precisione quanto sia fondata, nel singolo caso, la fiducia che ripongono nelle proprie capacità. Ma dall’altro sono anche gente che non si sottrae, gente che invece addiziona, si somma, si  espone, c’è quando serve.  In fondo anche un don Chisciotte era sicuro di sé, altrimenti qualche dubbio l’avrebbe pur avuto sulla possibilità di vincere contro i mulini a vento, mi pare.

E Capogna va a tirare quel rigore e lo sbaglia, e pure proprio male, perché fa partire un tiro fiacco, molto parabile.  E dopo quel rigore avevo pensato anche un’altra cosa.  Da quest’anno presidente del Lecco è Evaristo Beccalossi, ex giocatore dell’Inter per lunga data e calciatore dotato di una certa classe e di una buon fantasia. Ma Beccalossi, al di là della sua apprezzabile carriera, è ricordato dai posteri per una sua particolarità: essere riuscito a sbagliare due rigori in una sola partita di coppa europea.  Ecco, pensavo che il terzo rigore di fila sbagliato, pur in tre gare successive, fosse, per Capogna, un omaggio al suo presidente, quasi un’imitazione dell’ex interista, ma portata ad un piano ancor più alto e raffinato.

E questo è Capogna, l’uomo ancora a secco di gol. Domenica nella partita contro la Folgore Carate, avendo già inteso parlare di lui, l’ho seguito con particolare attenzione. E lui si è mosso, come uno deciso che prima o poi l’avrebbe messa dentro. Ma palloni appetibili, bisogna pur dirlo, non gliene sono mai arrivati. Lui si è anche impegnato ad andare a cercarli, ma gli avversari, forse sapendo della sua fama e della sua fame, gli stavano addosso, riducendo così gli spazi di manovra. Insomma, più che fare delle giocate, spizzicava qua e là dei palloni, come chi, davanti ad una cena succulenta, si limita a fare solo qualche assaggino.

Capogna, per dirla chiara,  mi aveva non poco deluso, anche perché, ad un certo punto, mi pareva si fosse reso conto che non era giornata e aveva tirato i remi in barca. E così stavo venendo via dopo la partita alquanto scornacchiato. Però poi il Carlo, che è uno che se ne intende, mica come me, ha detto solennemente: ”Capogna è uno che fa reparto da sé” e io, pur non avendo ben capito il significato, ho pensato che questa frase lo riscattava in pieno.  E mi sono rasserenato.  Chissà mai che dalla prossima volta, ho concluso,  Capogna faccia reparto anche per gli altri.  Tanto io ci credo.  E lo aspetto.

NELLA FOTO: Riccardo Capogna (Foto www.provinciadilecco.it)