di Matteo Bonfanti
Mi sveglio e ho già l’ansia perché è mezzogiorno e mezza e ho un mal di testa e d’universo che mi picchia sulla fronte, dicendomi “Matte, sei cattivo e te lo meriti, sappilo”. Ieri ho fatto tardissimo, ignoro il mio orario di rientro, forse le sei di mattina perché c’era chiaro. Sicuramente sono arrivato nel borgo senza l’amata Pandona Aranciona, a piedi, gelando. Credo che la mia compagna d’avventure su quattro ruote avesse la batteria scarica. Rifletto, mi concentro un paio di minuti, cerco di ricostruire in quale via di Bergamo abbia lasciato la maghina. Ricordo, all’inizio frammenti, poi quasi tutto. Ero con Marco, chiacchieravamo di Serie A con la radio e le luci accese. L’auto è in via Moroni, sotto il suo appartamento. Mi dico “ce la farò, un’oretta e troverò il modo per farla ripartire”, ma a dire il vero non ne sono così convinto. Scendo, riponendo le mie poche speranze nel caffè doppio al bar sotto casa. Sto già meglio, m’imbatto nella Gazzetta, leggo del Milan, che ad agosto doveva giocarsela con tutte le avversarie e invece fa figure a destra e a manca, a Benevento gli ha segnato addirittura un portiere, Brignoli, che mi è subito piaciuto perché è bergamasco come i miei figli. Mi vengono in mente i miei due papà, Marco, quello vero, e Ernesto, il marito di mia mamma, tutte e due rossoneri sfegatati, da anni sul depresso andante se si parla di pallone. Mi viene addosso il primo sorriso del giorno, li vedrò per le feste, li prenderò per il culo su Gattuso, Bonucci e Kalinic, morirò dal ridere.
Arrivo in fondo alla Rosea per consultare l’oroscopo, un must, per noi acquari la giornata che sta iniziando è da sette e mezzo in pagella (“qualunque cosa farete, vi verrà in modo meraviglioso, siete magnetici, la gente vi ama e vi vuole accanto per adorarvi in ogni modo possibile”). Ondata di ottimismo. Sono al bancone, uno sconosciuto brizzolato ed energico attacca bottone con me, mi racconta che di lavoro scrive libri sui Papi, mi dice cosa ne penso di Giovanni XXIII. Rispondo: “E’ quello di Sotto il Monte?”. Lui annuisce. E io deciso: “Era un tipo in gamba, onesto. Buono buono coi bambini”. Mi pressa: “Sei cattolico?”. Rispondo: “Alle volte… Più spesso sono marxista, marxiano, marziano”. E mi riprende, raccontandomi che Stalin era una belva, che in Unione Sovietica le persone per bene finivano nei lagher e tutte quelle cose lì che mi spaventano ogni volta. Inizio ad aver paura che mi tiri uno scapaccione, gli chiedo umilmente scusa per i drammi che ha fatto il comunismo e lo saluto.
Torno a casa, apro la porta e vedo che si è materializzata Costanza, mia moglie, le vado incontro, l’abbraccio, tento un bacio, si sposta, non è in vena, mi guarda storto. Mi dice “ti devo parlare”, penso al peggio, sfuggo chiudendomi in bagno. Riemergo mezzoretta dopo, cercando la mia faccia da bravo bambino che è un sacco che non metto più, forse l’ho persa qualche anno fa in uno dei peggiori bar di Caracas. “Mat, la sera della vigilia  vado da mia sorella. Festeggiamo lì coi bambini. Tu con lei sei stronzo e lei non ha piacere che tu ti faccia vedere. Quindi organizzati per non esserci, vai dai tuoi amici, trovati qualcuno che ti faccia compagnia. Tanto noi ci vedremo dopo, il giorno di Natale, a pranzo, da tuo papà. Hai capito?”.  Dico: “Ok”. Più che altro penso al mio oroscopo, forse si sbaglia, sia lo scrittore cattolico che mia moglie hanno dimostrato un discreto astio nei miei confronti. Mi convinco sia un caso e che da adesso in poi “qualunque cosa farò, mi verrà in modo meraviglioso, sarò magnetico, la gente mi amerà e mi vorrà accanto per adorarmi in ogni modo possibile”. Riparto quindi con rinnovato entusiasmo.
Un’oretta e sono in via Moroni, al capezzale della mia macchinina, la Pandona Aranciona, che fa la morta. Le parlo: “Se ti accendi al volo ti prometto che ti faccio il pieno di metano e domani ti porto all’autolavaggio. Giuro”. Giro le chiavi e non succede niente, neppure un rumorino. Non ci è cascata. Faccio mezzo chilometro e trovo un gommista. Entro e ci sono due segretarie, una giovane e una di mezza età, la prima bionda, la seconda mora, entrambe carine, di bell’aspetto. C’è la fila, sono presissime, arriva il mio turno, chiedo dolcemente: “Avreste i cavetti per far ripartire le macchine scariche? Quelli rossi e neri che si attaccano a un’altra auto…”.  La bionda: “Ripassa dopo, siamo tutti impegnati”. Mi metto le mani sugli occhi, li strizzo, tento di impietosirla con qualche lacrima che però non scende. Aspetto. Chiamo Ermal, il mio migliore amico, cerco una voce rassicurante che mi dica: “Sì, sei magnetico e ti voglio bene”. Sta lavorando, non risponde. Penso all’oroscopo, che sono due ore che sono sveglio e le persone all’ostia con me sono già quattro.
Torno in via Moroni, riparlo alla Pandona Aranciona, le prometto l’inverosimile: “Se parti, giuro, ti cambio le quattro gomme, ti metto le Michelin, le stesse che aveva la Ferrari di Schumacher quando vinceva un Mondiale dietro l’altro…”. Rigiro le chiavi, manco un cenno. Noto due vecchietti, si stanno infilando su una Fiat Uno del 1984, li inseguo per chiedergli i cavi. Ho la berretta e la barba lunga, mi accorgo che credono sia un borseggiatore, avranno ottant’anni, ma fanno uno scatto da centometristi, l’anziano si mette al volante, la sua bella vecchina di fianco, accendono il catorcio e scompaiono.
Vago a piedi a caso per via San Bernardino, bevo un caffè e mi viene addosso la malinconia, ripenso alle bellissime sere d’estate quando la Pandona Aranciona era in salute e mi portava ovunque le chiedessi, persino a Bologna se ci veniva addosso lo sghiribizzo di andare a trovare i miei nonnetti belli, Giuseppina e Cesarino. Sono sul punto di piagnere disperato nell’oasi di gelo e cemento che è la mia città in questo mese, quando intravedo un elettrauto. E’ un’apparizione. Corro da lui, gli spiego nel dettaglio il mio difficile momento, mia moglie che non mi vuole intorno la Vigilia di Natale, la mia maghina che non va più, e lui, l’elettrauto, è distante e freddo, non partecipa ai miei drammi, insomma tra noi non c’è empatia. Mi dice: “Io non ho tempo, ma tra un po’ arriva il mio socio. Aspetta qui. Vediamo lui”. Prego, due Padre Nostro e tre Ave Maria, chiedo perdono a tutti i santi per i miei peccati, rinnego fortemente il comunismo e Gesù mi ascolta al volo. Arriva il socio, è un tipo buonissimo. Rassicurante: “Dimmi dov’è che la facciamo partire”. Mi sento protetto, vorrei abbracciarlo, dargli una carezza, ringraziarlo, ma so che qualsiasi mio movimento potrebbe alterare il feeling che si è creato in noi. Quindi mi affido a lui che mi spiega in modo dettagliato il suo piano: “Ti raggiungo in motorino”. Poche, ma significative parole, c’è speranza.
Dieci minuti e siamo in via Moroni, uno accanto all’altro, proprio lì dove c’è la Pandona Aranciona. Collega i cavi, giro la chiave, nulla. Ricollega i cavi, rigiro la chiave, nulla. Andiamo avanti con questo giochino per una decina di minuti. Poi il socio buono dell’elettrauto ha un’illuminazione: “Non è la batteria. Sei a secco”. Mi va a prendere la benzina, la mette nel serbatoio, la maghina riparte. Gli dico: “Quanto ti devo?”. Risponde: “Trenta euro”. Non ce li ho, vado una corsa al Bancomat più vicino. E’ quello della Banca Nazionale del Lavoro e lo sento fin da subito ostile. Si pappa la mia cartina, sullo schermo compare un numero di telefono: “800822056”. Lo chiamo, mi risponde una voce incazzosa, mi consiglia di rivolgermi alla mia banca perché quando uno sportello automatico si magna una carta è un casino più finito. Per riaverla bisogna aspettare un mese. Avviso il socio buono dell’elettrauto che gli porto i soldi in serata. Mi dice: “Tranquillo, non c’è problema, anche domani”. Penso: “Dio c’è e fa l’elettrauto”.
Ad ora che sono le otto di sera è stata l’unica persona che mi ha trattato bene, aiutandomi nella buona e nella cattiva sorte. Nel proseguo della giornata sono stato maltrattato da mia mamma (“non ti occupi dei tuoi figli, sei un cattivo padre, pentiti, e poi mi hai rubato la preziosa crema antirughe alla bava di lumache, vergognati”), da un barista italiano di un bar cinese sulla Briantea (“eccoti il tuo caffè”, ma detto con rabbia) e da tre automobilisti incazzati neri perché ero fermo al semaforo di Curno mentre era verde. Una di loro, una donna sui quarant’anni a bordo di un macchinone, mi ha alzato il dito medio e non era una proposta per passare del tempo insieme provando pratiche nuove e suggestive. Magari mi sbaglierò, ma nel suo sguardo ho avvertito della cattiveria. A questi vanno aggiunti i già citati, in ordine di apparizione lo scrittore cattolico, mia moglie Costanza, le due segretarie del gommista, i vecchietti in fuga, l’altro elettrauto e l’uomo della voce del numero di telefono del bancomat. Sono un sacco di persone. E ancora starò sveglio almeno quattro ore. Non faccio polemica, dico solo che l’oroscopo della Gazzetta dello Sport certi giorni non ci prende. Pensateci.