Della vicenda Bergamo Longuelo restano le parole e lo sguardo riconoscente di uno dei tanti papà di un ragazzino che fino alla scorsa stagione giocava nel settore giovanile gialloverde. Ci raggiunge al tavolo della Carbonella mentre stiamo chiacchierando, abbraccia Fabio, il presidente, e inizia a parlargli: “A mio figlio avete cambiato la vita. Prima di venire da voi, il pallone non gli piaceva più. Nelle altre squadre non si sentiva accettato e si era convinto di essere scarso, un peso per i compagni. Poi l’ho portato da voi ed è rinato. E sono sicuro che se non vi avessi trovato, avrebbe mollato. Grazie. E, Fabio, promettimi solo una cosa: se riparti, fammi un fischio”.
Una manciata di frasi che riassumono in modo perfetto quella che è stata una delle più belle favole calcistiche della nostra provincia, un club rarissimo perché straordinariamente vincente, di corsa dalla Seconda categoria alla Promozione, ma senza l’assillo del risultato tra le proprie corde. Tantissimo per via di Fabio Locatelli, il suo numero uno, un grande che pensa che il calcio sia come la vita e che al primo posto vada messo il benessere, che su un campo è divertirsi, ridere e trovarsi tutti insieme a tavola, come la domenica al pranzo di famiglia.
Questo è Fabio, il Signor Bergamo Longuelo, gigante del nostro movimento, che ha chiuso il club dopo anni passati a lottare contro la lenta e crudele macchina burocratica di qualsiasi ente statale del nostro Paese. La storia è nota, l’abbiamo già scritta, ma ve la riassumiamo: c’è il sintetico da rifare perché ha buchi e foppe ai lati, e in mezzo va peggio, si dribbla in un cratere. Ogni settimana il terreno perde un pezzo e non servono le secchiate di cocco che mettono quelli che dovrebbero prendersene cura. Parliamo del Comune, il proprietario della struttura, che dovrebbe rifarlo, ma gli anni passano e il rettangolo di gioco è sempre quello, ormai impraticabile, così Fabio decide che è venuto il momento di abbassare la saracinesca. Ma prima sistema ogni suo tesserato, duecentocinquanta atleti, un esercito, passato per la gran parte ad ingrossare le fila del Paladina di Egidio Capitanio, uno dei presidenti che ha la stessa stupenda idea di Fabio, quella che un progetto è vincente non perché la squadra conquista raffiche di campionati, ma perché fa uscire dal campo ogni suo calciatore col sorriso addosso e la felicità tutta intorno.
Nella soddisfazione che il nostro pallone è finalmente ripartito, per me che ne scrivo e che ho trovato in Fabio, in Diletta e in Marco tre sponde dall’estrema correttezza, perché mossi unicamente dalla passione, così come per tutti gli ormai ex atleti e per i loro genitori, resta negli occhi un velo di tristezza quando si passa da Longuelo e si vede il campo deserto. Era un paradiso e adesso non c’è più.
Ma c’è anche la certezza che questo calcio, ironico e allegro, intelligente e sempre accogliente, non è andato perso. Tanti club ora ne hanno un pezzetto, gli atleti cresciuti tra le parole, i sorrisi e le battute di Fabio, un grande uomo che speriamo decida presto di riprendere da dove ha lasciato, semplicemente perché uno come lui fa bene al pallone.  
Matteo Bonfanti
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